IPOTESI INTERPRETATIVE
Per la storiografia del "se" sarebbe interessante affrontare il seguente
argomento ipotetico: se la chiesa cattolica italiana non avesse assunto,
durante il Rinascimento e la Riforma protestante, delle posizioni nettamente
conservatrici, il processo economico-borghese, posto che avesse realizzato
l'unificazione nazionale, col relativo mercato interno, avrebbe preso la
stessa strada degli altri Paesi europei o avrebbe potuto prenderne un'altra?
Se sì, quale?
Qui si possono fare due congetture:
A) se l'Italia avesse fatto l'unificazione nazionale, contestando la Riforma
protestante, probabilmente non si sarebbe comportata in modo molto diverso
da come si comportarono Spagna e Portogallo, nel senso cioè che avrebbe
partecipato subito alla spartizione delle colonie dei Paesi extraeuropei
(non dimentichiamoci: 1) che nessuno Stato italiano finanziò l'impresa di
Colombo solo perché i costi erano ritenuti sproporzionati rispetto ai grandi
rischi cui si poteva andare incontro: lo stesso pensarono il Portogallo e
l'Inghilterra; 2) che molti navigatori dell'epoca erano di origine italiana
e che la stessa impresa di Colombo venne in parte finanziata da mercanti e
banchieri genovesi e fiorentini).
Qui però si può fare una distinzione: l'Italia unita e cattolica non si
sarebbe comportata esattamente come la Spagna, poiché questa aveva
conservato un cattolicesimo più arretrato e feudale, mentre in Italia
l'Umanesimo e il Rinascimento avevano fortemente laicizzato la religione; e
forse non si sarebbe comportata esattamente neppure come il Portogallo,
perché questa nazione, pur essendo sulla strada della laicizzazione della
religione, non aveva le capacità imprenditoriali degli italiani, ma solo
quelle commerciali, per cui il suo colonialismo fu costretto (anche per
l'esiguità del numero dei colonizzatori) a limitarsi alle zone costiere
dell'Africa e dell'Asia (con l'unica eccezione del Brasile).
B) Se invece l'Italia avesse fatto l'unificazione nazionale, accettando la
Riforma, probabilmente essa si sarebbe comportata come l'Inghilterra o
l'Olanda, diventando quindi una nazione molto più potente della Spagna e del
Portogallo e...con molti meno scrupoli religiosi.
Per quale ragione? La caratteristica socioeconomica della società italiana
era, quel tempo, fondamentalmente "borghese" (almeno nell'ambito dei Comuni
e delle Signorie), mentre in Spagna, ad es., era, dopo la Riconquista, quasi
completamente feudale.
La borghesia è una classe economicamente più avanzata dell'aristocrazia
feudale, poiché investe i capitali in attività fortemente speculative, per
cui la ricchezza e il potere della nostra nazione non avrebbero potuto
essere inferiori a quelli dell'Inghilterra e men che mai a quelli
dell'Olanda. L'Inghilterra acquisì capacità imprenditoriali quando l'Italia
almeno da due secoli le aveva già dimostrate.
Che giudizio dare dunque della chiesa cattolica italiana? Se l'Italia non è
diventata come la Spagna o il Portogallo, forse indirettamente lo dobbiamo
anche alla chiesa che, opponendosi all'unificazione nazionale, ci ha
impedito di diventare dei grandi colonialisti. La chiesa romana ha accettato
le avventure coloniali (si pensi alle crociate) solo fino a quando è stata
in grado di decidere le sorti del nostro Paese (pur sempre in un rapporto
conflittuale con l'impero prima e le forze comunali dopo). Perduta la
relativa egemonia, la chiesa s'è limitata a "sfruttare" le conquiste
coloniali di Spagna e Portogallo per gli interessi esclusivi del proprio
Stato e non anche per quelli della penisola. In tal modo l'unificazione
nazionale è diventata un obiettivo ancora più difficile da realizzare. La
chiesa romana ha sempre temuto che gli Stati italiani potessero diventare
troppo forti da obbligarla ad accettare l'unificazione nazionale. E gli
staterelli italiani, dal canto loro, sono sempre stati troppo divisi perché
potessero diventare molto forti.
Inizialmente l'Italia non partecipò allo sterminio di massa degli indios,
alla loro schiavizzazione e al saccheggio delle loro risorse. Sarà solo in
seguito che la nostra classe borghese cercherà di accodarsi alle potenze
straniere per partecipare allo sfruttamento delle colonie.
Probabilmente, se la chiesa avesse accettato, oltre all'unificazione
nazionale, anche la Riforma, noi avremmo avuto un'Italia borghese e
capitalistica, non meno feroce dell'Olanda e dell'Inghilterra. Solo che
questa eventualità è antistorica, poiché il protestantesimo è potuto nascere
proprio in opposizione al cattolicesimo-romano. Al massimo si sarebbe potuto
verificare che le regioni italiane economicamente più sviluppate o
geograficamente più vicine all'area protestante dell'Europa, avrebbero
potuto "dividere" l'Italia in due, costringendo i cattolici al compromesso
(cosa che avvenne in Francia, in Irlanda, in Austria...).
In ogni caso lo sviluppo degli eventi ha dato torto alla chiesa romana: da
noi si è sviluppato il capitalismo e siamo diventati come le altre nazioni
europee. Anzi, siccome, al pari della Germania, abbiamo perso del tempo
prezioso nel momento di dare un peso politico all'originaria accumulazione
capitalistica, per poterlo recuperare siamo stati costretti a ricorrere al
fascismo. In Germania la contraddizione tra la Riforma e la mancata
unificazione fu ancora più stridente che in Italia: questo spiega il motivo
per cui il nazismo fu più totalitario del fascismo.
La chiesa cattolica ha dunque avuto torto nell'impedire l'unificazione
nazionale e nel contrapporsi in modo frontale alla Riforma. Ma questi due
atteggiamenti non sono stati presi in seria considerazione dalla borghesia
italiana e dagli intellettuali progressisti (umanisti). Nel senso che si è
preferito assumere un atteggiamento passivo, indifferente, accettando
l'autoritarismo di Roma come un fatto inevitabile.
La borghesia italiana ha perso il confronto con la chiesa romana
semplicemente perché non ha avuto fiducia nelle masse. Gli intellettuali
hanno rifiutato di discutere sui problemi della Riforma semplicemente perché
li credevano anacronistici, inutili ai fini dell'unificazione nazionale,
ch'essi anzi avrebbero voluto al di fuori di qualunque potere religioso. Il
loro distacco dalle masse era totale.
In Italia è mancato un dibattito culturale nazionale sui problemi della
Riforma e della nascente rivoluzione borghese. Volendo, l'Italia avrebbe
potuto imboccare la strada di uno sviluppo socioeconomico democratico, senza
doversi per forza caratterizzare in modo capitalistico.
Probabilmente c'era già la possibilità che l'unificazione nazionale si
realizzasse con il contributo non solo delle forze borghesi progressiste, ma
anche di quelle non borghesi. La borghesia non era costretta ad accettare il
compromesso con l'aristocrazia e la chiesa controriformista. La borghesia
non è sempre la stessa quando lotta contro aristocrazia e clero, e quando
lotta contro operai e contadini dopo essere andata al potere. Per la
borghesia del '500 tutte le soluzioni rivoluzionarie erano ancora aperte.
Altre questioni ipotetiche da esaminare:
Se non ci fosse stata la conquista dell'America, la discesa di Carlo VIII in
Italia avrebbe potuto determinare la fine dell'egemonia spagnola nel
Meridione e il crollo definitivo dello Stato della Chiesa?
Cioè avremmo forse potuto avere la prosecuzione e lo sviluppo nazionale del
Rinascimento e della scienza? Oppure l'Italia sarebbe diventata una colonia
della Francia? O forse, proprio lottando contro la Francia, l'Italia avrebbe
potuto raggiungere l'obiettivo dell'unificazione nazionale?
E la Riforma protestante, una volta ridimensionate le pretese della chiesa
romana, ci sarebbe stata ugualmente? anche in Italia?
STORIA DELL'INGHILTERRA FINO ALLO SCISMA ANGLICANO
Nel 1066 l'esercito normanno del duca Guglielmo (uno dei più potenti
feudatari francesi) sbarca in Inghilterra col pretesto di poter ottenere la
corona, essendo imparentato col re inglese Edoardo il Confessore, morto
nello stesso anno.
Gli anglosassoni residenti nell'isola si opposero, ma nella battaglia di
Hastings ebbe la meglio Guglielmo, che restò re fino al 1087.
I nobili anglosassoni furono privati di quasi tutte le loro terre: 1/7 di
tutte quelle coltivate e redistribuite tra i normanni, oltre a gran parte
delle foreste, se le tenne la corona. Le insurrezioni del 1069 e 1071 furono
represse nel sangue.
I baroni, coi loro vassalli, dipendevano dal re, che, per definire l'entità
dei tributi da versare, impose una sorta di catasto, il Domesday Book, di
tutte le proprietà, il bestiame, il numero dei vassalli e dei contadini:
ovviamente la situazione di quest'ultimi peggiorò in maniera drastica.
La popolazione inglese era di circa 1,5 milioni: il 95% viveva in campagna,
di agricoltura. In alcune zone del sud e nord-est era diffuso l'allevamento
di pecore e l'esportazione di lana greggia verso le Fiandre. La prestazione
gratuita di manodopera (corvée) -che in genere consisteva in 3 giorni
lavorativi nei campi del feudatario- era la prassi dominante nel mondo
contadino, oberato anche da imposte, tributi, gabelle varie.
I pochissimi contadini liberi, cioè non legati da rapporti di servitù alla
terra, pagavano al lord una rendita in denaro. La chiesa, dal canto suo,
esigeva la decima parte dei raccolti, del bestiame, della lana ecc.
Guglielmo non aveva alcuna difficoltà a favorire i commerci di lana, piombo,
stagno, bestiame... con le Fiandre, la Normandia, il Maine, la Scandinavia,
i Paesi Baltici... Era persino disposto a concedere l'autoamministrazione
alle città: era sufficiente pagare forti tributi. Ed è così che si formano
le grandi città e, interne a queste, le corporazioni artigiane e mercantili.
Durante il regno di Enrico I (1100-1135) la corona cercò d'imporre la Legge
Comune in tutto il paese, soppiantando il diritto locale, per cui assunsero
improvvisamente grande importanza i giudizi reali itineranti per le
controversie giuridiche. Venne creato anche l'erario reale o Camera dello
Scacchiere.
Sotto Enrico II Plantageneto (1154-1189) cominciano a far parte del regno
inglese vasti territori francesi appartenenti alla casa d'Angiò (contee di
Angiò, Poitou, Maine, Turenna): la Normandia era già inglese. E anche il
ducato di Aquitania, in seguito al matrimonio di Enrico II con Eleonora.
Enrico II permise ai feudatari piccoli e medi (i cavalieri), ai contadini
liberi e ai cittadini più facoltosi di trasferire la propria causa
giudiziaria da qualsiasi tribunale locale feudale al tribunale reale: era
sufficiente pagare.
Inoltre permise ai feudatari di abbreviare il servizio militare alle
dipendenze della corona, in cambio di un pagamento speciale (con questo
denaro il re poteva arruolare al proprio servizio i cavalieri, che così
diventavano meno dipendenti nei confronti dei baroni).
Infine pretese che ogni uomo libero dovesse avere un determinato armamento
per essere pronto a combattere in qualunque momento al servizio del re.
Infatti nella seconda metà del XII sec. iniziò la conquista dell'Irlanda,
che privò quest'isola di ogni forma di sviluppo.
Nel 1170, in conflitto con Tommaso Becket, Arcivescovo di Canterbury, circa
i rispettivi poteri di Stato e Chiesa, lo fece eliminare nella sua
cattedrale. Tommaso viene canonizzato nel 1172. Il suo reliquario, fino alla
distruzione nel 1538 ad opera di Enrico VIII, diventa oggetto di
pellegrinaggio.
In Inghilterra sempre difficili sono stati i rapporti tra inglesi e
religione cattolico-romana. I primi segni d'insofferenza per la Scolastica
furono quelli del docente universitario di Oxford, Robert Grossatesta (che
poi divenne vescovo di Lincoln) che visse dal 1175 al 1253. Egli pose non
pochi dubbi su molte tesi di Aristotele che venivano poste a fondamento
della Scolastica. I suoi trattati di matematica si basavano su esperimenti e
osservazioni.
Ruggero Bacone (1214-1294), allievo di Grossatesta, affermava che la base
della vera scienza doveva essere l'esperimento e la matematica (che allora
comprendeva anche la fisica e altre scienze). Egli anticipò l'invenzione
degli occhiali, della lente d'ingrandimento, del telescopio e del
microscopio. Trovò anche la formula per la preparazione della polvere da
sparo. La chiesa lo perseguitò fino al punto da tenerlo in prigione per ben
14 anni.
Lo scozzese Duns Scoto (1266-1308), anch'egli docente a Oxford, entrò in
campo col suo nominalismo contro la teologia scolastica, mostrando chiare
tendenze materialistiche.
Le sue idee vennero riprese da Guglielmo di Occam (1300-1350) che lottò
contro il papato fino al punto da essere scomunicato nel 1327.
Nel XIII sec. la situazione economica dell'Inghilterra era migliorata grazie
ai commerci. Si esportavano anche cereali e pelli. Sempre più si chiedeva,
da parte dei ceti più benestanti, la commutazione della rendita in natura in
rendita monetaria. Ma lo sfruttamento dei contadini più poveri tendeva a
peggiorare. Aumentavano le rivolte, specie contro i monasteri, che non erano
armati: nel 1278 e nel 1299 nei pressi di Harmondsworth, Halesoun, Norfolk.
Nel 1196 c'era già stata a Londra la rivolta degli artigiani e dei poveri
capeggiata da William Fitz Osbert, duramente repressa.
Gran parte dei feudatari piccoli e medi si dedicava al commercio, per cui
avevano molto in comune con gli abitanti delle città e coi contadini liberi
più agiati. Non c'era una vera linea di demarcazione sociale: ogni
proprietario terriero che avesse un reddito annuale di almeno 20 sterline
poteva assumere un titolo cavalleresco ed entrare nei ranghi della nobiltà.
Solo i grandi feudatari formavano un ceto chiuso (baroni, arcivescovi,
vescovi, abati dei grandi monasteri).
Le tasse, le ingerenze da parte della monarchia aumentarono
considerevolmente sotto Riccardo I Cuor di Leone (1189-1199) e Giovanni
Senzaterra (1199-1216), a motivo delle continue guerre feudali nel
continente e della terza crociata (1187). La guerra col re francese Filippo
II provocò la perdita di Normandia, Angiò, Maine, Turenna e parte del
Poitou.
Non solo, ma poiché Giovanni Senzaterra non aveva riconosciuto il nuovo
vescovo di Canterbury designato da papa Innocenzo III, quest'ultimo gli
lanciò la scomunica, concedendo a Filippo II il diritto alla corona inglese.
Giovanni dovette riconciliarsi col pontefice.
Tale capitolazione portò i baroni, i cavalieri e i cittadini inglesi a
imporre alla corona la firma della Magna Charta Libertatum nel 1215, con cui
il re s'impegnava a non violare i diritti della chiesa inglese, a non
intromettersi nell'elezione delle cariche religiose, a non impossessarsi
delle terre ecclesiastiche, a non pretendere dai vassalli tassazioni
supplementari, a non arrestare i baroni, a non dichiararli fuorilegge, a non
confiscare i loro beni senza il giudizio dei pari (di grado e posizione
uguali), a non esigere un servizio militare da parte dei cavalieri più lungo
di quello consentito, a non esigere, nei confronti dei contadini liberi,
pagamenti superiori a quelli previsti. Si stabiliva anche l'unità di pesi e
misure in tutto il paese. Ai mercanti stranieri veniva permessa la libera
circolazione in Inghilterra.
Ma Giovanni, sostenuto dal papa, rifiutò di osservare questi principi,
sicché nel 1258 i baroni in armi si riunirono ad Oxford per chiedere al
successore Enrico III (1216-1272) l'abolizione delle esazioni arbitrarie e
l'allontanamento di tutti i consiglieri stranieri. Il documento si chiamava
Provvisioni di Oxford e prevedeva l'istituzione di un gran consiglio di 15
baroni munito di diritto di veto nei confronti delle decisioni regie, da
convocarsi tre volte all'anno in Parlamento: i ministri del re dovevano
essere scelti dal consiglio dei 15. Le "provvisioni" furono approvate dal
gran consiglio e accettate dal re con pubblico giuramento, ma nel 1261
furono revocate dallo stesso Enrico III che aveva ottenuto dal papa
l'invalidazione del giuramento.
La guerra civile scoppiò nel 1263 e la battaglia decisiva fu quella di Lewes
l'anno successivo. I cavalieri, i contadini liberi, molti baroni e abitanti
di città, guidati da Simone di Monfort, pretesero l'istituzione di un
parlamento. I contadini, approfittando della situazione, cominciarono a
ribellarsi anche contro i feudatari e i baroni che avevano appoggiato Simone
fecero marcia indietro, mettendosi di nuovo dalla parte della corona, che
nella battaglia di Evesham (1265) ebbe la meglio sugli insorti.
Tuttavia il re riconobbe l'istituzione del parlamento come strumento di
rappresentanza degli interessi dei baroni, dei cavalieri e dei cittadini
liberi. Ora non poteva più imporre nuove tasse senza il consenso dei
parlamentari.
Verso la metà del XIV sec. si dividerà in due Camere: Alta (Camera dei
Lords: magnati laici ed ecclesiastici) e Bassa (Camera di Comuni, Cavalieri
e Cittadini).
Grazie all'appoggio del parlamento il re Edoardo I (1272-1307) poté
combattere i principati celtici indipendenti del Galles e sottometterli.
Cercò di sottomettere anche la Scozia nel 1296, ma nel 1314 le truppe
inglesi furono duramente sconfitte nella battaglia di Bannockburn.
Nel XIV sec. in Inghilterra si sviluppa sempre più l'industria della lana e
dei metalli, cresce la popolazione, aumenta la domanda di prodotti agricoli,
di materie prime e di mezzi di sussistenza, nonché gli scambi tra città e
campagna.
I contadini più agiati, che pagano rendite in denaro e producono per il
mercato, tendono ad arricchirsi; gli altri invece, soggetti a
un'intensificazione dello sfruttamento da parte dei feudatari, tendono a
impoverirsi e molti si trasformano in braccianti o salariati agricoli.
Gli stessi feudatari cominciano ad affittare le loro terre ai contadini più
ricchi, i quali le fanno lavorare ai braccianti.
Nel 1348-49 la terribile peste europea fece mancare molte braccia da lavoro.
I prodotti alimentari rincaravano e i lavoratori chiedevano salari più alti.
Il rischio di sommosse indusse il re Edoardo III (1327-1377) a emanare
un'ordinanza nel 1349 con cui prescriveva a tutte le persone di ambo i sessi
dai 12 ai 60 anni privi di terra o di altri mezzi di sussistenza, di andare
a lavorare per la paga vigente prima della peste: chi si rifiutava finiva in
prigione. I datori di lavoro che pagavano di più venivano semplicemente
multati.
Lo Statuto dei lavoratori del 1351 (una legge confermata dal re su proposta
del parlamento) obbliga le persone a rimanere nei loro villaggi e a lavorare
per il salario che verrà deciso dal datore di lavoro. Mendicare e
vagabondare è proibito fuorché per i i vecchi e gli inabili al lavoro. Per
la prima volta viene operata la distinzione tra povero meritevole (vecchio,
disabile, vedova e bambini) e povero non meritevole (adulti abili ma
disoccupati). Per tutta risposta si cominciano a creare le prime
associazioni di braccianti.
Nelle città i piccoli artigiani dipendono sempre più dai grandi o dai
mercanti, soprattutto nell'industria della lana, e molti garzoni rischiano
di rimanere operai salariati a vita; costituiscono tuttavia delle leghe.
Nei secoli XIV e XV si sviluppa molto il capitale commerciale e usurario: si
formano grandi capitali in virtù dell'esportazione della lana, dei prestiti
alla corona e dell'appalto delle imposte.
L'amministrazione cittadina è praticamente in mano ai mercanti e ai capi
delle maggiori corporazioni che rappresentano le città nel parlamento.
Nel 1337 scoppia la guerra dei Cento Anni, contro la Francia, che si
concluderà nel 1453. Il pretesto fu molto semplice: il re d'Inghilterra
Edoardo II discendeva da parte di madre da un re francese, Filippo il Bello.
Per tale titolo egli pretendeva di cingere anche la corona di Francia. La
corte francese, alla morte dell'ultimo capetingio, Carlo IV, non prese
neppure in considerazione una simile richiesta. Edoardo non si scompose: si
fece chiamare re di Francia e dichiarò la guerra.
Il re inglese possedeva in Francia ricchi feudi; a sua volta il re francese
aiutava la Scozia a rimanere indipendente, costituendo così un continuo
pericolo per l'Inghilterra. Inoltre gli inglesi volevano assolutamente
riconquistare le regioni perdute sul continente ai tempi di Giovanni
Senzaterra e volevano impadronirsi delle ricchissime Fiandre.
All'inizio la guerra fu favorevole agli inglesi, ma si concluderà a favore
dei francesi (epopea di Giovanni d'Arco). L'unica base che la corona inglese
poté mantenere sul continente fu la città di Calais. Con questa guerra
l'Inghilterra capì che non avrebbe mai potuto occupare dei territori sul
continente europeo e che, per questa ragione, doveva rivolgersi altrove per
avere materie prime a buon mercato, manodopera sottocosto e mercati di
sbocco. Ecco perché eviterà accuratamente di trascinare se stessa in una
guerra civile per motivi religiosi.
Nel 1381 scoppia la rivolta contadina dei Lollardi che metteva in pratica le
idee sovversive di John Wycliffe. La rivolta diede il colpo di grazia al
servaggio in natura.
Durante il XV sec. la maggioranza dei contadini si era riscattata e le loro
obbligazioni erano ora in denaro. La terra restava di proprietà del
feudatario e i contadini ne erano affittuari, con obblighi meno gravosi. La
nuova nobiltà si legava al mercato e puntava i suoi interessi soprattutto
sullo smercio dei tessuti di lana.
Fino al XIII sec. si era esportata lana greggia, ma alla fine del XV
l'Inghilterra era al primo posto in Europa per l'export del tessile. Le
industrie più progredite si erano trasferite in campagna per sottrarsi alle
regole urbane delle corporazioni: in campagna infatti potevano sfruttare gli
artigiani rurali non organizzati o non tutelati dagli statuti corporativi.
In molte case contadine cominciano ad apparire i telai e le donne si
occupano di cardatura e di filatura. I mercanti fornivano la materia prima e
i piccoli artigiani rurali restituivano il prodotto semilavorato o finito a
un prezzo irrisorio. E' così che nasce la manifattura capitalistica
disseminata.
Le Fiandre e l'Italia erano i maggiori acquirenti del panno greggio inglese
non tinto. Quando il panno divenne di alta qualità, cominciò ad essere
incettato già in Inghilterra dai mercanti fiamminghi, italiani e anseatici.
Nella seconda metà del XIV sec. vengono emanati i primi atti di navigazione
che prescrivevano ai mercanti inglesi di noleggiare solo navi inglesi per il
trasporto delle merci nazionali: è così che si formano le prime compagnie
dei mercanti avventurieri.
Questa situazione non poteva piacere ai grandi feudatari, che infatti
cominciarono a imporre nuove tasse, a depredare le tenute dei vicini, a
praticare il brigantaggio sulle grandi strade, a confliggere con le truppe
governative.
Tenendo in mano la Camera Alta e potendo indirettamente controllare quella
Bassa, nel 1399 riuscirono a deporre Riccardo II (1377-1399) sostituendolo
con Enrico IV di Lancaster (1399-1413), che cominciò subito a perseguitare i
Lollardi e a bandire le teorie di Wycliffe.
Con Enrico V (1413-1422) si riprende la guerra con la Francia, che però si
risolve in un disastro sia militare che finanziario. Una nuova insurrezione,
nel 1450, parte dalla contea del Kent, muove verso Londra, e si estende a
tutto il paese. Il capo fu l'ex-soldato Jack Cade. Chiedevano cose molto
precise: fine delle violenze baronali, fine delle pressioni illegali sul
parlamento, fine della guerra antifrancese, fine della legislazione contro i
lavoratori, riduzione delle imposte, restituzione delle terre usurpate dai
lords, espulsione dal parlamento dei consiglieri odiati (alcuni di questi
furono addirittura uccisi quando il movimento entrò a Londra).
I ricchi contadini, capeggiati dal sindaco di Londra, s'impaurirono e, con
l'aiuto della guarnigione, cacciarono dalla città gli insorti. Con false
promesse di amnistia il re riuscì a dividere l'esercito di Cade: Questi fu
poi ucciso e gli insorti massacrati.
I ricchi contadini e la nuova nobiltà s'erano convinti che d'ora in poi
sarebbe stato meglio avere una monarchia forte, in grado di lottare sia
contro i movimenti popolari che contro i soprusi dei grandi feudatari. Come
contrappeso alla dinastia dei Lancaster, diedero il loro appoggio ai
facoltosi duchi di York, imparentati con la casa reale.
Iniziò subito la guerra civile, che durò dal 1455 al 1485, e che chiamata
"Guerra delle due Rose": scarlatta quella dei Lancaster, appoggiati dai
feudatari del nord, bianca quella degli York, appoggiati dai feudatari del
sud e dell'est, nonché dalla nuova nobiltà e dai ricchi contadini.
Dopo vari scontri Edoardo di York prese Londra e venne proclamato re
(1461-1483) col nome di Edoardo IV. Alla sua morte il figlio Edoardo V fu
immediatamente detronizzato dallo zio Riccardo che lo fece strangolare in
prigione e salì al trono col nome di Riccardo III (1483-1485).
Come candidato al trono i Lancaster proposero Enrico Tudor, il quale nella
battaglia di Bosworth nel 1485 sconfisse Riccardo, che morì sul campo.
Enrico VII (1485-1509) divenne re. Cercò un compromesso tra le due fazioni
accentuando le prerogative della corona.
Il mercato interno continuò a svilupparsi, si formò anche la lingua unitaria
inglese sulla base del dialetto londinese. Le due opere fondamentali per lo
sviluppo dell'inglese furono La visione di Pietro l'aratore (The Vision of
Piers Plowman) di William Langland (ca.1330-1387) e i Racconti di Canterbury
di Geoffrey Chaucer (1340-1400).
Langland descrive le sofferenze dei poveri, le terribili conseguenze della
peste nera culminate nella rivolta dei contadini (1381), e attacca con
violenza la corruzione del clero e l'ignavia dei ricchi. Come Wycliffe,
Langland è convinto della necessità di una riforma, e nel poema presenta
Pietro l'Aratore, che talvolta si identifica con Cristo, come colui che
porrà fine a tutti gli abusi e al male del mondo.
Chaucer rifugge dalle speculazioni metafisiche e colloca il suo poema in una
dimensione terrena e quotidiana, dando alla sua commedia umana una
straordinaria pienezza di vita, creando quasi dal nulla la tecnica del verso
inglese e tracciando una grandiosa sintesi della vita del suo tempo in
chiave realistico-borghese. Con Chaucer la poesia inglese, fino ad allora
isolata sostanzialmente in un ambito provinciale e in posizione subordinata
rispetto a quella francese, si allinea alle grandi letterature
euro-occidentali.
Il nome di Enrico VIII (1509-1547) è legato soprattutto allo scisma
anglicano.
MAGNA CHARTA LIBERTATUM
La numerazione in articoli mancava, essa è quindi convenzionale.
1) La Petition of Right è la dichiarazione del Parlamento inglese relativa
ai diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini, approvata da Carlo I
nel 1628.
2) L'Habeas corpus fu sancito nel 1679 e 1816. Esso stabilisce il principio
della garanzia della libertà del cittadino, che non può essere arrestato o
subire limitazioni alla sua libertà personale, se non è data dall'autorità
la prova del reato commesso.
Giovanni, per grazia di Dio re d'Inghilterra, signore d'Irlanda, duca di
Normandia ed Aquitania, conte d'Angiò, saluta gli arcivescovi, i vescovi,
gli abati, i conti, i baroni, i giudici, le guardie forestali, gli sceriffi,
gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sudditi.
Sappiate che noi, di fronte a Dio, per la salvezza della nostra anima e di
quella dei nostri predecessori e successori, per l'esaltazione della santa
Chiesa e per un miglior ordinamento del nostro regno, dietro consiglio dei
nostri venerabili padri Stefano, arcivescovo di Canterbury, primate
d'Inghilterra e cardinale della santa romana Chiesa, Enrico, arcivescovo di
Dublino, Guglielmo di Londra, Pietro di Winchester, Jocelin di Bath e
Glastonbury, Ugo di Lincoln, Gualtiero di Coventry, Benedetto di Rochester,
vescovi; di maestro Pandolfo, suddiacono e membro della corte papale,
fratello Aymerico, maestro dei cavalieri del Tempio in Inghilterra e dei
nobiluomini William Marshal, conte di Pembroke, William conte di Salisbury,
William conte di Warennie, William conte di Arundel, Alan di Galloway,
connestabile di Scozia, Warin figlio di Gherardo, Peter (figlio di Herbert,
Hubert de Burg siniscalco del Poitou, Hug de Neville, Mattew figlio di
Herbert, Thonas Basset, Alan Basset, Philip d'Aubigny, Robert de Ropsley,
John Marshal, John figlio di Hug ed altri fedeli sudditi:
1. In primo luogo abbiamo accordato a Dio e confermato con questa carta, per
noi e i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa d'Inghilterra sia libera,
abbia integri i suoi diritti e le sue libertà non lese; e vogliamo che ciò
sia osservato; come appare evidente dal fatto che per nostra chiara e libera
volontà, prima che nascesse la discordia tra noi ed i baroni, abbiamo, di
nostra libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà
delle elezioni, considerata della più grande importanza per la Chiesa
anglicana ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa
Innocenzo III; la qual cosa noi osserveremo e vogliamo che i nostri eredi
osservino in buona fede e per sempre. Abbiamo concesso a tutti gli uomini
liberi del regno, per noi e i nostri eredi tutte le libertà sottoscritte,
che essi e i loro eredi ricevano e conservino da noi e dai nostri eredi.
2. Venendo a morte alcuno dei nostri conti o baroni o altri vassalli con
obbligo nei nostri confronti di servizio di militare e alla sua morte
l'erede sia maggiorenne e debba pagare il , potrà avere la sua
eredità solo su pagamento del . Vale a dire che l'erede o gli eredi
di un conte o di un barone pagheranno cento sterline per l'intera baronìa;
l'erede o gli eredi di un cavaliere al massimo cento scellini per l'intero
feudo; e chi deve di meno pagherà di meno, secondo l'antico uso dei feudi.
3. Se l'erede di costoro è un minorenne sotto tutela, quando raggiungerà la
maggior età, abbia l'eredità senza pagare riscatto.
4. Il tutore delle terre di un erede minorenne non prenda da essa nulla di
più di ragionevoli profitti, di ragionevoli tributi consuetudinari e
ragionevoli servizi e ciò senza danni alla proprietà o spreco di uomini e
mezzi; se avremo affidato la tutela della terra ad uno sceriffo o ad altra
persona responsabile verso di noi per le rendite e questi avrà provocato
detrimento o danno di ciò che gli è stato affidato, esigeremo un
risarcimento da lui, e la terra sarà affidata a due uomini ligi e prudenti
di quel feudo, che saranno responsabili per le rendite, verso di noi o nei
confronti della persona alla quale l'avremo affidata; e se noi avremo dato o
venduto ad alcuno l'amministrazione di tale terra ed egli ne avrà causato
distruzione o danno, egli perderà la tutela della terra, che verrà
consegnata a due uomini di legge equilibrati dello stesso feudo, che saranno
similmente responsabili verso di noi, come è stato detto.
5. Per tutta la durata della tutela l'amministratore manterrà gli edifici, i
parchi, i vivai, gli stagni, i mulini e ogni altra pertinenza, con i
proventi derivanti dalla terra stessa; e renderà agli eredi, quando avranno
raggiunto la maggiore età, l'intera proprietà fornita di aratri e carri,
come la stagione agricola richiede e il prodotto della terra permette di
sostenere.
6. Gli eredi non siano dati in matrimonio a persone di ceto inferiore; prima
che contraggano il matrimonio, esso deve essere reso noto ai loro parenti
prossimi.
7. Alla morte del marito, la vedova abbia la dote e la sua eredità subito e
senza ostacoli, né pagherà nulla per la sua quota legittima o la sua dote e
per qualsiasi altra eredità che essa ed il marito possedevano nel momento
della morte di lui, e rimanga nella casa del marito per quaranta giorni dopo
la sua morte, ed entro questo termine le dovrà essere assegnata la sua dote.
8. Nessuna vedova sia costretta a risposarsi fino a quando vorrà rimanere
senza marito, a condizione che dia assicurazione che non prenderà marito
senza il nostro consenso se è nostra vassalla, o senza l'assenso del suo
signore se è vassalla di un altro.
9. Né noi né i nostri balivi ci impadroniremo di alcuna terra o di rendite
di chiunque per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno
sufficienti a pagare il suo debito, né coloro che hanno garantito il
pagamento subiscano danno, finché lo stesso non sarà in grado di pagarlo; e
se il debitore non potrà pagare per mancanza di mezzi, i garanti
risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno soddisfarlo con
le terre e il reddito del debitore fino a quando il debito non sarà stato
assolto, a meno che il debitore non dimostri di aver già pagato i suoi
garanti.
10. Se qualcuno ha preso a prestito una somma da Ebrei, sia grande o
piccola, e muore prima di aver pagato il debito, questo non produrrà
interesse fino a quando l'erede si troverà nella minore età, di chiunque
egli sia vassallo; e se quel credito cade in nostre mani, noi non chiederemo
null'altro, se non la somma specificata nel documento.
11. E se un uomo muore e deve del denaro ad Ebrei, sua moglie riceva la sua
dote senza dover pagare alcunché per quel debito, e se il defunto ha
lasciato dei figli in minore età, si provvederà ai loro bisogni in misura
adeguata al patrimonio del defunto e il debito sarà pagato con il residuo, a
parte quanto dovuto ai signori feudatari; nello stesso modo sarà fatto con
persone che non siano ebrei.
12. Nessun pagamento di o sarà imposto nel nostro
regno se non per comune consenso, a meno che non sia per il riscatto della
nostra persona e per la nomina a cavaliere del nostro figlio primogenito e
una sola volta per il matrimonio della nostra figlia maggiore, per tali fini
sarà imposto solo un ragionevole ; lo stesso vale per gli
della città di Londra.
13. La città di Londra abbia tutte le sue antiche libertà e le sue libere
consuetudini, sia per terre sia per acque. Inoltre vogliamo e concediamo che
tutte le altre città, borghi, villaggi e porti abbiano tutte le loro libertà
e libere consuetudini.
14. Per ottenere il generale consenso per l'imposizione di un ,
eccettuati i tre casi sopra specificati, o di uno faremo
convocare con nostre lettere gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti
ed i maggiori baroni, e faremo emettere da tutti i nostri sceriffi e balivi
una convocazione generale di coloro che possiedono terre direttamente per
nostra concessione, in un dato giorno, affinché si trovino, con preavviso di
almeno quaranta giorni, in un determinato luogo; e in tutte le lettere di
convocazione ne indicheremo la causa; quando sarà avvenuta la convocazione,
nel giorno stabilito si procederà secondo la risoluzione di coloro che
saranno presenti, anche se non tutti i convocati si saranno presentati.
15. Noi non concediamo che alcuno chieda un ai suoi uomini
liberi, se non per riscattare la sua persona, per fare cavaliere il figlio
primogenito o per maritare una sola volta la figlia maggiore e per questi
motivi sarà imposto solo un ragionevole.
16. Nessuno sarà costretto a fornire una prestazione gravosa per il possesso
di un feudo di cavaliere o di qualsiasi altro libero obbligo.
17. I processi comuni non seguiranno la nostra corte, ma si terranno in un
luogo fisso.
18. Le inchieste di , , non si svolgeranno se non nella propria contea e a
questo modo: noi stessi o, se ci troveremo fuori del nostro regno, il nostro
primo giudice manderemo due giudici in ogni contea quattro volte all'anno; e
questi giudici, assieme a quattro cavalieri della contea eletti dalla contea
stessa, terranno nella contea, in quel giorno e in quel luogo le predette
assise.
19. E se nel giorno stabilito nella contea le assise predette non possono
essere tenute, si trattengano tanti dei cavalieri e liberi feudatari
presenti nella contea in quel giorno, quanti siano sufficienti per
l'amministrazione della giustizia, secondo il numero massimo o minimo dei
compiti da svolgere.
20. Nessun uomo libero sia punito per un piccolo reato, se non con una pena
adeguata al reato; e per un grave reato la pena dovrà essere proporzionata
alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di sussistenza; ugualmente i
mercanti non saranno privati della loro mercanzia e allo stesso modo gli
agricoltori dei loro utensili; e nessuna delle predette ammende sarà
inflitta se non con il giuramento di uomini probi del vicinato.
21. Conti e baroni non siano multati, se non dai loro pari, e se non secondo
la gravità del reato commesso.
22. Nessun religioso sia multato per il suo beneficio laico se non secondo i
modi predetti, e non secondo la consistenza del suo beneficio ecclesiastico.
23. Né villaggio né uomo potrà essere costretto a costruire ponti sulle
rive, a meno che non lo debbano fare per diritto e antica consuetudine.
24. Nessuno sceriffo, conestabile, od altro ufficiale reale può
tenere assemblee che spettino alla Corona.
25. Ogni contea, , e , manterrà il vecchio
canone, senza aumenti, tranne i nostri manieri signorili.
26. Se muore un vassallo che possiede per conto della corona un feudo laico,
si presenteranno uno sceriffo od altro ufficiale con un decreto reale di
convocazione, per il debito dovuto dal defunto nei nostri confronti, costoro
potranno catalogare e sequestrare i beni mobili che si trovano nel feudo
laico del defunto, nella misura dell'entità del debito, sotto il controllo
di uomini probi, affinché nulla sia rimosso fino a quando non sarà stato
pagato il debito verso la corona; e il rimanente sarà dato agli esecutori
testamentari per eseguire il testamento del defunto; e se nulla è dovuto
alla corona, tutti i beni mobili saranno considerati proprietà del defunto,
tranne le ragionevoli parti riservate alla moglie e ai suoi figli.
27. Se un uomo libero morrà senza aver fatto testamento, i suoi beni mobili
saranno distribuiti ai parenti ed amici sotto il controllo della chiesa,
salvi i debiti dovuti dal defunto a chiunque.
28. Nessun conestabile o altro ufficiale della corona potrà prendere
frumento od altri beni mobili da alcuno se non pagandoli immediatamente, a
meno che non abbia ottenuto una dilazione per libera volontà del venditore.
29. Nessun conestabile potrà costringere un cavaliere a pagare del denaro in
cambio della guardia al castello, se quello vorrà assumersi personalmente la
custodia o affidarlo a un uomo probo, qualora non possa farlo per un valido
motivo; e se noi lo arruoliamo o lo mandiamo a prestare servizio d'armi,
sarà affrancato dalla custodia per tutto il periodo di durata del servizio
presso di noi.
30. Nessuno sceriffo, ufficiale reale o chiunque altro potrà prendere
cavalli o carri ad alcun uomo libero, per lavori di trasporto, se non con il
consenso dello stesso uomo libero.
31. Né noi né alcun ufficiale reale prenderemo legna per il nostro castello
o per nostra necessità, se non con il consenso del proprietario del bosco.
32. Noi non occuperemo le terre di coloro che sono dichiarati colpevoli di
fellonia per un periodo più lungo di un anno e un giorno, dopo di che esse
saranno restituite ai proprietari del feudo.
33. Tutte le reti di sbarramento per catturare i pesci, che si trovino nel
Tamigi, nel Medway e in qualsiasi altra parte dell'Inghilterra, fuorché
lungo le coste marine, saranno rimosse.
34. Il mandato detto non sarà emesso in futuro per alcuno, in
rapporto ad alcuna proprietà, affinché un uomo libero non possa essere
privato della proprietà prima del giudizio.
35. Che vi sia una sola misura di vino, birra e frumento in tutto il regno;
e cioè il londinese, e un'unica altezza, per panni di diversa
(bianca e rossa) tintura, cioè di un braccio da un bordo all'altro; lo
stesso sia per i pesi e altre misure.
36. Nulla sarà d'ora in poi pagato od accettato per un mandato di inchiesta
per omicidio o ferimento; esso sarà concesso gratuitamente e non sarà
negato.
37. Se un uomo possiede una terra per concessione della corona come
, o , e possiede pure una terra per
concessione di un altro signore contro il servizio di cavaliere, noi non
avremo, in virtù di tali , o , la tutela del
suo erede né della terra che appartiene al feudo dell'altra persona, a meno
che il non comporti un servizio di cavaliere. Noi non avremo la
tutela dell'erede o della terra di alcuno che egli possiede per conto di un
altro in base ai che egli tiene per conto della corona,
per servizio di pugnali, frecce o simili.
38. Nessun balivo d'ora in poi potrà portare in giudizio un uomo sulla base
della propria affermazione, senza produrre dei testimoni attendibili che ne
provino la veridicità.
39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori
legge, esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi
confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio
legale dei suoi pari e per la legge del regno.
40. A nessuno venderemo, negheremo, differiremo o rifiuteremo il diritto o
la giustizia.
41. Tutti i mercanti siano salvi e sicuri di uscire dall'Inghilterra e di
entrare in Inghilterra, soggiornare e viaggiare in Inghilterra sia per terra
che per acqua per comprare o vendere, liberi da ingiusta tassa secondo le
antiche e buone consuetudini; eccetto in tempo di guerra e se appartengano
ad un paese nostro nemico; e se tali mercanti si trovassero nel nostro
territorio al principio della guerra, saranno trattenuti, senza alcun danno
alle loro persone ed alle loro cose, fino a quando noi o il nostro primo
giudice non saremo informati in quale modo vengano trattati i nostri
mercanti che si trovino nel paese in guerra con noi; e se i nostri lì sono
salvi, altrettanto siano salvi gli altri nelle nostre terre.
42. D'ora in poi sarà lecito a chiunque uscire ed entrare nel nostro regno,
salvo e sicuro, per terra o per acqua, salva la fedeltà a noi dovuta se non
per un breve periodo in tempo di guerra, per il comune vantaggio del reame;
eccetto quelli che sono stati imprigionati o messi fuori legge secondo le
leggi del regno, e le persone appartenenti ad un paese in guerra con noi, e
i mercanti, si farà come è stato sopra detto.
43. Se alcuno possiede una proprietà in come gli di
Wallingford, Nottingham, Boulogne, Lancaster, od altre proprietà
che sono in nostro possesso e che sono baronie, alla sua morte il suo erede
ci dovrà solo il riscatto ed il servizio di cui sarebbe stato debitore verso
il barone, se la baronia fosse stata ancora di proprietà del barone; e noi
la terremo nello stesso modo in cui la teneva il barone.
44. Gli uomini, che vivono al di fuori della foresta, d'ora in poi non
dovranno in futuro venire davanti ai giudici della foresta in seguito ad una
citazione comune, a meno che non siano implicati in un'azione legale o non
siano garanti per qualcuno che sia stato arrestato per reati contro la
foresta.
45. Noi nomineremo giudici, conestabili, sceriffi od ufficiali se non coloro
che conoscano la legge del regno e vogliano ben osservarla.
46. I baroni che hanno fondato abbazie e possono provarlo con documenti del
regno d'Inghilterra o per antico possesso, potranno amministrare le dette
abbazie in vacanza dell'abate, com'è loro diritto.
47. Tutti i territori che sono stati dichiarati foreste durante il nostro
regno, perderanno immediatamente tale stato. Lo stesso sarà per le sponde
dei fiumi poste sotto riserva durante il nostro regno.
48. Tutte le cattive consuetudini relative alle foreste e alle riserve, alle
guardie di foreste e di riserve, sceriffi e loro aiutanti, sponde dei fiumi
e loro custodi, siano immediatamente controllate da un comitato di dodici
cavalieri giurati della stessa contea che devono essere eletti ugualmente da
un comitato di uomini probi, ed entro quaranta giorni dal compimento
dell'inchiesta dovranno essere, senza possibilità di revoca, eliminate (lo
stesso valga se noi saremo fuori dell'Inghilterra, purché noi o il nostro
primo giudice ne saremo stati prima informati).
49. Noi restituiremo immediatamente tutti gli ostaggi e le carte
consegnatici dai sudditi inglesi a garanzia della pace e della fedeltà.
50. Rimuoveremo completamente dalle loro cariche i parenti di Gerard de
Athée, d'ora in poi non permetteremo loro di avere più alcun ufficio in
Inghilterra. Le persone in questione sono: Engelard de Cigogné, Peter e Guy,
Andrew de Chanceaux, Guy de Cigogné, Geoffrey de Martigny e i suoi fratelli,
Philip Marc con i suoi fratelli e suo nipote Geoffrey, e tutti i loro
seguaci.
51. Non appena la pace sarà restaurata allontaneremo dal nostro regno tutti
i cavalieri stranieri, balestrieri, sergenti, mercenari che sono arrivati
con cavalli e armi con grave danno per il regno.
52. Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza un legale
processo dei suoi pari, di terre, castelli, delle libertà o dei diritti,
immediatamente glieli restituiremo; e se sorgono casi controversi, essi
saranno decisi dal giudizio dei venticinque baroni cui si fa riferimento
sotto relativamente alla sicurezza della pace. Poi per tutte quelle cose di
cui qualcuno è stato spossessato senza un processo legale dei suoi pari, da
parte di nostro padre re Enrico o di nostro fratello re Riccardo, e si trovi
in nostro possesso o nelle mani di altri sotto la nostra garanzia, noi
dovremo avere un termine comunemente concesso a chi è segnato della croce;
eccetto quei casi in cui sia iniziato un processo o aperta un'inchiesta per
nostro ordine, prima della sospensione per la nostra croce; al nostro
ritorno dal pellegrinaggio* o in caso di rinuncia al pellegrinaggio,
immediatamente sarà resa piena giustizia.
*) Ricordiamo che si consideravano e le crociate
erano considerate pellegrinaggi! Si veda l'articolo. .
53. Avremo ugualmente una proroga (e lo stesso sarà nel rendere giustizia)
per l'eliminazione del vincolo sulle foreste (o per la sua conservazione),
qualora queste siano state afforestate (dichiarate foreste, cioè sottoposte
a vincolo regio ndr) da nostro padre Enrico o da nostro fratello Riccardo, e
per la custodia delle terre che si trovano nel feudo di un altro, la cui
custodia abbiamo avuto fino ad ora a causa di un feudo tenuto per nostro
conto da un terzo, in virtù del servizio di cavaliere; lo stesso sarà infine
per le abbazie fondate nel feudo di altra persona da noi, qualora questa
avanzi delle pretese su di esse; e al nostro ritorno, o nel caso di rinuncia
al pellegrinaggio, noi concederemo piena giustizia a tutte le lagnanze
riguardanti queste cose.
54. Nessuno sarà arrestato od imprigionato per la morte di una persona su
accusa di una donna, a meno che la persona morta non sia il marito della
donna.
55. Tutte le somme che ci sono state versate ingiustamente ed in contrasto
con la legge del paese, e tutte le ammende da noi esatte indebitamente,
saranno interamente restituite; ovvero saranno sottoposte al giudizio dei
venticinque baroni cui si fa riferimento più sotto, nella clausola della
sicurezza per la pace, o della maggioranza degli stessi, unitamente al
predetto Stefano, arcivescovo di Canterbury, se sarà presente e di quanti
altri egli vorrà condurre con sè. E se non potrà essere presente, la
riunione proseguirà senza di lui; se però uno dei venticinque baroni sarà
implicato anche lui in una causa simile, il suo giudizio sarà escluso ed un
altro sarà scelto come sostituto dai rimanenti venticinque eletti, dopo aver
giurato.
56. Se un Gallese sarà stato da noi privato delle terre, della libertà o
qualsiasi altra cosa (in Inghilterra o nel Galles) senza il legale giudizio
dei suoi pari, dovrà immediatamente riavere in restituzione quanto perduto:
e se la questione dovesse essere controversa, sarà decisa nella Marchia dal
giudizio dei suoi pari: per i possedimenti in Inghilterra, secondo la legge
dell'Inghilterra per i possedimenti che si trovano nel Galles con la legge
del Galles: per i possedimenti della Marchia, secondo la legge della
Marchia. Lo stesso facciano i Gallesi con noi e i nostri sudditi.
57. Nel caso in cui un Gallese sia stato privato di qualcosa senza il
giudizio legale dei suoi pari, da parte di nostro padre re Enrico o nostro
fratello re Riccardo, e si trovi in nostro possesso o nelle mani di persone
sotto la nostra garanzia, noi dovremo avere una proroga della durata
usualmente concessa ai segnati della croce a meno che un processo non abbia
avuto inizio od una inchiesta non sia stata aperta per nostro ordine, prima
che noi prendessimo la croce; al nostro ritorno, ovvero all'atto della
rinuncia al nostro pellegrinaggio, renderemo immediatamente piena giustizia
secondo le leggi del Galles e delle regioni suddette.
58. Restituiremo immediatamente il figlio di Llewelyn, gli ostaggi gallesi e
tutte i documenti che ci sono stati dati come pegni per la pace.
59. Noi faremo ad Alessandro, re di Scozia, per quel che riguarda la
restituzione delle sorelle e degli ostaggi e le sue libertà ed i suoi
diritti, nello stesso modo che verso gli altri nostri baroni d'Inghilterra,
a meno che, dai documenti che ricevemmo da suo padre Guglielmo, già re di
Scozia, non risulti che egli debba essere trattato diversamente; e ciò sarà
stabilito dal giudizio dei suoi pari nella nostra corte.
60. Tutte le consuetudini e le libertà suddette che abbiamo concesse nel
nostro regno, e per quanto ci compete, siano osservate da tutti gli uomini
del nostro regno, siano ecclesiastici o laici; le osservino, per quanto ad
essi compete, nei confronti di coloro ad essi soggetti.
61. Poiché noi abbiamo fatto tutte queste concessioni per Dio, per un
miglior ordinamento del nostro regno e per sanare la discordia sorta tra noi
ed i nostri baroni, e poiché noi desideriamo che esse siano integralmente e
fermamente (in perpetuo) godute, diamo e concediamo le seguenti garanzie:
I baroni eleggano venticinque baroni del regno che desiderano, allo scopo di
osservare mantenere e far osservare con tutte le loro forze, la pace e le
libertà che ad essi abbaiamo concesso e che confermiamo con questa nostra
carta.
Se noi, il nostro primo giudice, i nostri ufficiali o qualunque altro dei
nostri funzionari offenderemo in qualsiasi modo un uomo o trasgrediremo
alcuno dei presenti articoli della pace e della sicurezza, e il reato viene
portato a conoscenza di quattro dei venticinque baroni suddetti, costoro si
presenteranno di fronte a noi o se saremo fuori dal regno, al nostro primo
giudice, per denunciare il misfatto e senza indugi procederemo alla
riparazione.
E se noi o, in nostra assenza, il nostro primo giudice non faremo tale
riparazione entro quaranta giorni dal giorno in cui il misfatto sia stato
dichiarato a noi od a lui, i quattro baroni metteranno al corrente della
questione il rimanente dei venticinque che potranno fare sequestri ai nostri
danni ed attaccarci in qualsiasi altro modo e secondo il loro arbitrio,
insieme alla popolazione del regno, impadronendosi dei nostri castelli,
delle nostre terre, dei nostri beni o di qualsiasi altra cosa, eccettuate la
nostra persona, quella della regina e dei nostri figli; e quando avranno
ottenuto la riparazione, ci obbediranno come prima.
E chiunque nel regno lo voglia può di sua spontanea volontà giurare di
obbedire agli ordini dei predetti venticinque baroni per il conseguimento
dei suddetti scopi, e di unirsi a loro contro di noi, e noi diamo
pubblicamente e liberamente autorizzazione di dare questo giuramento a
chiunque lo voglia e non proibiremo a nessuno di pronunciarlo.
Tutti coloro del paese che per se stessi e di loro spontanea volontà non
vogliano prestare giuramento ai venticinque baroni per danneggiarci o
molestarci insieme a loro, li costringeremo a giurare per nostro ordine,
come sopra è stato detto.
E se qualcuno dei venticinque baroni morisse od abbandonasse il paese o
fosse impedito in qualunque altro modo dall'adempiere le proprie funzioni,
gli altri dovranno eleggere dai predetti venticinque un altro al suo posto,
a loro discrezione, e questi dovrà a sua volta prestare giuramento allo
stesso modo degli altri.
In tutti gli adempimenti di questi venticinque baroni, se dovesse accadere
che i venticinque siano presenti e tra di loro siano in disaccordo su
qualcosa o uno di loro che è stato convocato non vuole o non può venire, ciò
che la maggioranza dei presenti avrà deciso o ordinato, sarà come se
avessero acconsentito tutti i venticinque; e i suddetti venticinque giurino
di osservare fedelmente tutte le cose suddette e di fare tutto ciò che è
loro possibile per farle osservare.
E noi non chiederemo nulla, per noi o per altri, perché alcuna parte di
queste concessioni o libertà sia revocata o ridotta; e se qualcosa sarà
richiesta, sarà considerata nulla e invalida e noi non potremo usarla per
noi o tramite altri.
62. E ogni malanimo, indignazione e rancore sorti tra noi ed i nostri
sudditi, religiosi e laici, dall'inizio della discordia abbiamo a tutti
pienamente rimesso e perdonato. Inoltre, tutte le trasgressioni arrecate in
occasione della detta discordia, tra la Pasqua del sedicesimo anno del
nostro regno, alla restaurazione della pace, a religiosi e laici, per quanto
ci compete, abbiamo pienamente condonato. Inoltre abbiamo fatto fare per
essi delle 1ettere patenti per testimonianza, del signore Stefano,
arcivescovo di Canterbury, del signore Enrico, arcivescovo di Dublino, dei
predetti vescovi e maestro Pandolfo, per la sicurezza di questa e delle
concessioni predette.
63. Per queste ragioni desideriamo e fermamente ordiniamo che la Chiesa
d'Inghilterra sia libera e che i nostri sudditi abbiano e conservino tutte
le predette libertà, diritti e concessioni, bene e pacificamente,
liberamente e quietamente, pienamente e integralmente per se stessi e per i
loro eredi, da noi e dai nostri eredi, in ogni cosa e luogo, in perpetuo,
come è stato detto sopra.
Abbiamo giurato, sia da parte nostra sia da parte dei baroni, che tutto ciò
che abbiamo detto sopra in buona fede e senza cattive intenzioni sarà
osservato in buona fede e senza inganno. Ne sono testimoni le summenzionate
persone e molti altri.
Dato per nostra mano nel prato chiamato Runnymede, tra Windsor e Staines, il
quindicesimo giorno di Giugno, diciassettesimo anno del nostro regno.
LE GUERRE DI SUPREMAZIA
Durante la prima metà del settecento furono combattute quasi
ininterrottamente guerre di predominio che mutarono profondamente gli
equilibri politici determinatisi nel secolo precedente fra gli Stati europei
.
Già la rivoluzione d'Inghilterra, borghese e puritana, aveva rotto il quadro
omogeneo dell'Europa assolutista, tipico del Seicento: la monarchia in
questo paese era diventata costituzionale e la borghesia era riuscita
anzitempo ad affermare la propria egemonia sul piano economico. Il risultato
di questo processo storico era stato lo sviluppo della nazione inglese e
l'inizio della formazione del suo impero coloniale.
Inghilterra e Francia dominarono la scena politica della prima metà del
secolo XVIII, la prima migliorando la struttura costituzionale del suo
stato, la seconda rimarcando il carattere assolutistico del regime che ormai
contrastava con le trasformazioni sociali avvenute in Francia e con la
cultura illuministica che si stava diffondendo ormai nel paese.
Le guerre di supremazia si aprirono con quella per la successione spagnola
che vide trionfare la politica inglese dell'equilibrio tra gli Stati.
Successivamente, nel corso delle guerre per la successione polacca e per la
successione austriaca e durante la guerra dei Sette Anni ( che concluse
questa fase di conflitti europei ), si ebbe uno spostamento delle
tradizionali alleanze. Alla rivalità franco - austriaca si venne a
sostituire un'alleanza fra Borboni e Asburgo: negli stessi anni si
stabiliva, come vedremo, il patto di famiglia fra i Borboni di Spagna,
Francia, Napoli e Parma. Questi due blocchi di nazioni alleate erano pronti
a fronteggiare l'egemonia marittima e commerciale dell'Inghilterra e la
nascente potenza militare della Prussia.
La guerra di successione spagnola aveva assicurato all'Inghilterra il
dominio sui mari ed all'impero austriaco quello sul continente.
Le due successive guerre europee furono condotte ancor più all'insegna del
principio dell'equilibrio e della diplomazia.
La prima di queste si svolse intorno alla corona della Polonia. Questo paese
era stato in passato la maggiore potenza dell'Europa orientale, ma le sue
istituzioni politiche e sociali erano ormai invecchiate di fronte agli
sviluppi dello stato assoluto nei paesi confinanti. Non solo la monarchia
polacca era elettiva, cosa che creava spesso crisi più o meno gravi di
successione, la dieta (assemblea) della nobiltà era in grado di opporsi a
qualunque sforzo in direzione di un rafforzamento delle strutture statali,
Nel 1733 le manovre della dieta per l'elezione regia furono fortemente
influenzate dalle strategie politiche delle grandi potenze; ne risultò una
guerra tra Francia ed Austria, combattuta non in Polonia ma sul Reno ed in
Italia, mentre la Polonia stessa veniva invasa dalla Russia. La guerra,
conclusa con un compromesso nel 1738, dimostrò che la Polonia era ormai
diventata solo un oggetto della politica europea. In conseguenza della
guerra di successione polacca l'Austria perse i suoi domini nell'Italia
meridionale (costituita in regno indipendente sotto la dinastia dei Borboni
di Napoli). Nel corso del mezzo secolo successivo la situazione della
Polonia non fece che aggravarsi e attraverso tre momenti decisivi
d'intervento straniero (1772, 1792 e 1795) i polacchi persero la loro
indipendenza politica e il loro paese fu spartito fra Russia, Austria e
Prussia. La Francia e l'Inghilterra non poterono in alcun modo intervenire,
perché la Francia era travagliata da una profonda crisi statale che sfociò
nella " grande rivoluzione ", e l'Inghilterra era totalmente assorbita nella
lotta contro i coloni americani, insorti contro il suo dominio.
Si era da poco conclusa la guerra di successione polacca quando la morte
dell'imperatore Carlo VI (1740) provocò la ripresa delle ostilità .
Prima di morire l'imperatore, che non aveva eredi maschi, aveva emanato la
Prammatica Sanzione, secondo la quale era consentita la successione al trono
all'erede di sesso femminile, la figlia Maria Teresa. Questa però non venne
riconosciuta da Federico II di Prussia, che, spalleggiato dalla Francia,
occupò subito la Slesia, dando così inizio alla guerra di successione
austriaca (1740 - 1748). L'Inghilterra interessata alla conservazione
dell'equilibrio europeo e rivale della Francia in campo coloniale, si
schierò dalla parte di Maria Teresa, che poté così resistere all'attacco e
conservò la corona; ella dovette però cedere a Federico II la ricca e
importante regione della Slesia.
Pochi anni dopo, dal desiderio di rivincita dell'Austria e dai contrasti
coloniali anglo-francesi trasse origine la Guerra dei Sette Anni
(1756 -1763), nella quale peraltro rovesciate le alleanze, l'Inghilterra si
schierò con la Prussia, e la Francia con gli Asburgo. La Prussia, resistendo
validamente alla soverchiante coalizione dei nemici, riuscì a conservare la
Slesia e consolidò il proprio prestigio sia nel mondo germanico sia in campo
internazionale; l'Inghilterra, strappando ai Francesi quasi tutti i
possedimenti americani, si affermò come la massima potenza marittima e
coloniale del mondo.
GLI STATI ITALIANI E LE RIFORME DEL '700
Le guerre europee del Settecento avevano portato in Italia il nuovo dominio
di due grandi dinastie: gli Asburgo a Milano e Firenze e i Borboni a Napoli
e Parma. Il progetto di ammodernamento della struttura statale che i sovrani
perseguivano nei loro paesi, si ripercosse dunque anche nel territorio
italiano, influenzando l'opera degli altri monarchi illuminati.
LA LOMBARDIA
Prima sotto l'imperatrice Maria Teresa e dopo sotto i suoi successori
Giuseppe II e Leopoldo II, la Lombardia fu investita da un piano di riforme.
In Italia essa era un territorio in cui si stavano formando i primi nuclei
della nuova organizzazione capitalistica. Qui l'agricoltura aveva raggiunto
un maggior sviluppo e si era diffuso l'affitto capitalistico della terra con
aziende agricole gestite da imprenditori.
Il dispotismo illuminato degli Austriaci trovò quindi un terreno favorevole
e una sua necessità nel territorio lombardo. Vennero infatti eliminati i
vincoli ancora esistenti al commercio della terra, si limitarono le
possibilità di acquisto da parte della Chiesa e si autorizzò la vendita
delle terre comuni: tutte le misure atte a incrementare la produttività
della terra sottoponendola alla proprietà borghese.
La riorganizzazione del sistema tributario, l'imposta sulla proprietà
fondiaria, l'abrogazione delle immunità feudali furono misure che andavano
verso la stessa direzione. La centralizzazione della pubblica
amministrazione doveva inoltre meglio garantire il controllo austriaco sul
territorio occupato.
Le contraddizioni di un'opera di riforme che nel contempo tendesse a
rafforzare l'autorità dispotica di uno Stato, specie in una terra di dominio
come quella lombarda, vennero alla luce quando i sovrani asburgici
intrapresero riforme nel settore della istruzione pubblica, togliendo il
monopolio alla Chiesa in questo importante settore. Le reazioni a questi
provvedimenti vennero infatti da due fronti opposti: quello dei conservatori
e quello degli illuministi italiani fautori dell'indipendenza politica, che
non potevano accettare la formazione di una scuola sotto il controllo
austriaco che avrebbe formato solo sudditi soggetti alla corona.
IL GRANDUCATO DI TOSCANA
Il Granducato di Toscana era stato unito all'impero austriaco sotto
Francesco Stefano di Lorena, Granduca di Toscana e imperatore d'Austria.
L'unione politica di natura personale cessò quando Pietro Leopoldo ereditò
solo la Toscana e la resse in piena autonomia da Vienna (1765). L'opera di
riforma del sovrano fu sostenuta da un folto gruppo di illuministi ed il
risultato più significativo fu realizzato nel campo della procedura
giudiziaria: egli abolì la pena di morte e la tortura, ispirato dalle idee
di Cesare Beccaria. Istituita una Consulta straordinaria per lo studio dei
problemi del paese, l'opera di riforma procedette con criteri sistematici e
portò, come prima iniziativa, ad un censimento e ad un tentativo di riforma
agraria sostenuta dall'Accademia dei Georgofili, fondata nel 1751 come
centro di studi sui problemi agrari.
Le bonifiche e il frazionamento delle terre abbandonate al latifondo
favorirono la formazione di un ceto borghese di piccoli proprietari
terrieri. Fu aperta alla borghesia la via alle cariche del governo locale: i
magistrati vennero eletti non per diritto di nascita ma in base al censo.
L'ultimo atto del sovrano riformatore, unico per i tempi, prima di lasciare
il regno per cingere la corona imperiale, fu di rendere pubblico il bilancio
dello Stato per mezzo della stampa.
IL REGNO DI NAPOLI
Un'antica tradizione storica risalente ai tempi degli Angioini faceva del
Mezzogiorno d'Italia la terra classica del feudalesimo italiano. Nel
Settecento troviamo ancora un tessuto sociale assolutamente arretrato,
caratterizzato dalla mancanza di un ceto intermedio borghese tra le masse
contadine, avvilite da ogni sorta di legame servile, e i feudatari con i
loro privilegi di casta ed un potere incontrastato. Non vi era alcuna
traccia di industrie ed ormai debolissima era l'attività mercantile. Le
enormi proprietà terriere non avevano subito alcun rinnovamento, il
latifondo e la miseria erano le caratteristiche di questa società ancora
medievale, insieme alla malaria e al brigantaggio. Accanto alla nobiltà, il
clero manteneva una serie di privilegi, così da essere una casta
privilegiata capace di paralizzare l'azione del governo centrale.
L'azione riformistica di Carlo di Borbone fu condizionata dal predominio
degli ordini privilegiati e fu diretta, secondi i criteri dell'assolutismo
regio, alla costruzione di uno Stato capace di imporsi su tutti i suoi
sudditi. L'azione di riforma fu assai limitata e lasciò il Mezzogiorno e la
Sicilia in uno stato di arretratezza economica e di fortissima
disuguaglianza sociale.
Lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la vita culturale del regno.
Napoli fu infatti, intorno alla metà del secolo, uno dei centri più vitali
dell'Illuminismo italiano. Sede di studi economici e giuridici, fu la città
di Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, studiosi tra i
più significativi della cultura illuministica italiana.
IL REGNO DI SARDEGNA
Il regno sabaudo aveva avuto un periodo di rinnovamento sotto il regno di
Vittorio Amedeo II, al potere dal 1685 al 1730.
I suoi successori ripresero a governare secondo i principi dell'ancien
régime. Rinsaldarono i legami con i ceti più retrivi del regno e
combatterono le spinte al rinnovamento che venivano dalla borghesia e dagli
intellettuali, ai quali si aprì la strada dell'emigrazione (il caso più
illustre fu quello di Vittorio Alfieri). Si venne così a determinare una
frattura tra la popolazione e la corte autoritaria e militarista. Il
progresso economico restò affidato a gruppi di borghesia agraria che, pur
ostacolata dall'autoritarismo statale, iniziò una graduale trasformazione
dei sistemi produttivi.
Il movimento riformatore dei sovrani si esaurì nell'ultimo decennio del
Settecento. Esso mostrò i suoi limiti in tutti gli Stati in cui fu presente,
in primo luogo perché l'opera di riforma restò sempre legata alla figura di
pochi sovrani e fu scarsamente proseguita dai successori; in secondo luogo
perché essa cercò di mutare aspetti non sostanziali dell'organizzazione
politica e sociale, che rimase sempre quella del potere dispotico e del
dominio aristocratico. La convergenza tra il movimento illuminista e la
politica riformatrice dei sovrani mostrò agli stessi illuministi tutta la
sua precarietà e radicalizzò il movimento culturale borghese, che nei suoi
esponenti più illustri si indirizzò verso una prospettiva rivoluzionaria.
DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE ALLA COMUNE DI PARIGI (1789-1871)
Lo sviluppo capitalistico del primo periodo manifatturiero (XVI-XVII sec.)
procedeva lentamente. Solo alla fine del XVIII sec. ci fu una vera e propria
rivoluzione industriale e solo in Inghilterra. A partire da questa
rivoluzione i progressi furono sconvolgenti. Se all'inizio il lavoro manuale
fu eliminato solo nel ramo industriale della filatura del cotone, in seguito
il processo di sostituzione interessò tutti i rami. Verso il 1870 la grande
industria meccanica instaurò il suo dominio nei paesi più avanzati d'Europa
e negli USA.
Il capitalismo contribuì allo sviluppo delle forze produttive anche
nell'agricoltura e nel campo dei trasporti grazie all'impiego delle nuove
macchine a vapore. Verso il 1830 la costruzione delle ferrovie uscì dalla
fase sperimentale. Lo sviluppo del commercio mondiale, l'espansione del
capitalismo, la febbre dell'oro (California e Australia), la trasformazione
dell'Oceano Pacifico in una delle vie commerciali più importanti del mondo,
resero necessaria una navigazione più veloce e sicura: la ruota venne
sostituita dall'elica, la vela dal vapore. Il perfezionamento dei trasporti,
a sua volta, accelerò gli scambi, la produzione e la divisione del lavoro.
Cresce la domanda dei metalli (specie l'acciaio, che era preferito al ferro
e alla ghisa). Cresce l'industria pesante.
Nei paesi capitalistici avanzati avviene il distacco definitivo della città
dalla campagna. Il mestiere come fatto individuale si sfalda. Le grosse
imprese capitalistiche soppiantano il piccolo artigiano, le corporazione, le
botteghe dei mastri. Sorgono le grandi città industriali. Si accentra il
capitale. Si afferma la borghesia industriale e compare il proletariato
industriale.
Il crollo del feudalesimo e l'avvento della borghesia
Alla fine del XVIII sec. permaneva quasi ovunque la dipendenza feudale dei
contadini (specie nell'Europa orientale). Oltre a questo ciò che ostacolava
lo sviluppo del capitalismo era l'accentramento del potere statale nelle
mani della nobiltà e il frazionamento politico (specie nell'Europa
centrale). Le rivoluzioni borghesi furono inevitabili.
Esse avvennero, generalmente, con la partecipazione delle grandi masse
popolari: contadini, bassa plebe, operai, piccola-borghesia. La Rivoluzione
francese dell'89 fu quella più risoluta ed energica, a motivo del fatto che
avanzò rivendicazioni politiche ed economiche di fondo. I suoi risultati non
poterono essere annullati dal fugace trionfo della reazione
aristocratico-feudale-monarchica che seguì al crollo dell'impero
napoleonico. Le idee e i principi della Rivoluzione francese influenzarono
tutte le rivoluzioni borghesi d'Europa e d'America.
Nei paesi capitalisti più avanzati si formano anche movimenti
proletari-operai (ad es. negli anni 1830-40 il cartismo in Inghilterra,
l'insurrezione di Lione in Francia e quella dei tessitori di Slesia in
Prussia). Con il marxismo si ha il passaggio del socialismo dall'utopia alla
scienza. Nelle rivoluzioni del '48-'49 il proletariato si presenta in forma
autonoma (specie in Francia). La borghesia europea, impaurita dall'imponenza
dei movimenti proletari, non volle condurre con coerenza la sua battaglia
antifeudale, per questo tradì le sue stesse rivoluzioni scendendo a patti
con la nobiltà, il clero, la monarchia. In questo senso si parla di
fallimento dei moti democratico-borghesi del '48-'49.
In Germania gli junkers conservarono tutte le funzioni dirigenziali dello
stato. In Russia lo zarismo dominerà incontrastato sino all'inizio del XX
sec., per quanto la sconfitta della Russia nella Guerra di Crimea e il
timore di una rivoluzione contadina abbia portato negli anni '70
all'abolizione della servitù della gleba. In Francia la rivoluzione del
1870, distruggendo l'impero di Napoleone III, fu l'ultimo anello della
catena delle rivoluzioni borghesi in questo paese. L'occupazione di Roma da
parte degli italiani nel 1870 e la proclamazione a Versailles nel 1871 del
re di Prussia imperatore di Germania conclusero il processo di unificazione
dei due paesi.
Se verso il 1871 l'occidente aveva finito le rivoluzioni
democratico-borghesi, i paesi eurorientali si trovavano ancora alle soglie
di queste stesse rivoluzioni. Qui infatti anche le più modeste riforme erano
fallite (Turchia, Persia, Corea). Solo in Giappone la borghesia avanzava con
relativa facilità.
Colonialismo e imperialismo
Fra il 1850 e il 1870 il processo di formazione di un mercato mondiale
capitalista era compiuto nelle sue linee generali. L'isolamento e la
chiusura dei diversi paesi e popoli erano stati superati. Tuttavia la
barbarie congenita alla civiltà borghese si manifestò con tutta la sua forza
e determinatezza proprio nelle colonie da essa conquistate.
Nel secolo precedente i colonialisti avevano cercato di creare punti
d'appoggio lungo i litorali, esercitando la tratta dei negri, rubando o
pagando a prezzi irrisori metalli preziosi, spezie e prodotti
dell'artigianato locale. Alla fine del '700 i colonialisti pensano di
sfruttare sistematicamente questi paesi sia come fonte di materie prime che
come mercati di sbocco dei loro prodotti industriali. Così nelle agricolture
delle colonie vennero introdotte le monocolture, molti settori
dell'industria locale vennero distrutti o rovinati dalla concorrenza, i
prezzi continuarono ad essere imposti, la cultura locale tradizionale si
cercò di sostituirla con quella europea. Le colonie erano diventate
soprattutto appendici agrarie delle metropoli capitalistiche. In una
situazione semicoloniale vivevano anche quei paesi formalmente indipendenti,
ma deboli militarmente ed economicamente. Movimenti anticoloniali si
formarono presto in Cina, India, Persia, Algeria, ecc.
Il nuovo assetto dell'Europa
Nel 1815 il Congresso di Vienna cercò di annullare tutti i cambiamenti
provocati dalle guerre rivoluzionarie borghesi e napoleoniche. Tuttavia: dal
regno di Olanda, creato dallo stesso Congresso, si staccò nel 1830 il
Belgio, che divenne uno Stato indipendente; nonostante che il Congresso
volesse un'Italia divisa, essa raggiunse nel 1870 la propria unità; si
unificò anche la Germania; nella penisola balcanica la lotta antiturca portò
all'indipendenza della Grecia e della Serbia; nel 1859 nasce la Romania; la
Norvegia era passata sotto la Svezia; la stessa Russia zarista si era
notevolmente allargata...
In Sudamerica, approfittando dell'indebolimento delle metropoli durante le
guerre napoleoniche, le colonie spagnole e portoghesi divennero
indipendenti. Gli USA acquistano da Napoleone la Lousiana, dalla Spagna la
Florida, con la guerra tolgono al Messico il Texas e la California. Gli
indiani vengono sterminati.
Nel 1830 la Francia conquista l'Algeria, nel 1850 il Senegal. L'Inghilterra
occupa il Sudafrica, poi l'India. Negli anni '40 viene occupata la Cina da
diverse nazioni europee in seguito alla guerra dell'oppio. Gli inglesi poi
conquistano la Birmania, i francesi il Vietnam. In Oceania l'Inghilterra
occupa la Nuova Zelanda, Tahiti e altre isole. Nel Mediterraneo occupa
Malta, in Asia occupa Singapore, Hong Kong, Aden. La Gran Bretagna aveva
l'assoluto predominio sui mari.
MILANO NEL SETTECENTO:L'ASSOLUTISMO ILLUMINATO DI MARIA TERESA.D'AUSTRIA
Nel Settecento Milano si trovava sotto il dominio degli Asburgo: già dal
1706 gli Austriaci avevano soppiantato gli Spagnoli nel controllo della
città, ma fu solo al termine della Guerra di Successione spagnola, con le
paci di Utrecht e Rastatt (1713-1714), che il dominio austriaco venne
riconosciuto.
Nel secolo precedente Milano aveva subìto la peste del 1630 e la Guerra dei
Trent'anni (1618-1648), che ne avevano quasi dimezzato la popolazione; nel
Settecento invece ci fu una grande ripresa sia economica sia culturale. Il
ceto dirigente milanese fu molto attivo e riuscì a restaurare un'economia,
caduta a causa delle ingenti spese di guerra; in campo culturale poi Milano
fu il centro di maggior penetrazione illuministica dell'Italia
Settentrionale.
Mentre la Roma dell'Arcadia, che aveva dominato la Cultura letteraria
dell'inizio Settecento, era chiusa all'Illuminismo riformatore e
razionalista, Milano era invece molto più aperta, alle novità. Il primo
segno evidente dell'evoluzione culturale, che passava da cerimoniosità
arcade a razionalismo illuministico, fu la fondazione, nel 1762,
dell'Accademia dei Pugni, subito affiancata da quella dei Trasformati.
L'Accademia dei Pugni curò l'edizione di un giornale letterario e culturale,
pubblicato ogni dieci giorni dal giugno '64 al maggio '66. Il nome del
periodico era "Il Caffè" e indicava esplicitamente il locale all'ultima
moda, nel quale veniva servito il caffè, la bevanda di origine americana,
che aveva conquistato l'Europa.
Il Caffè era frequentato dalle gente di mondo e vi si riuniva la società
elegante, ma rappresentava anche il luogo, nel quale avvenivano gli scambi
d'idee e opinioni da parte di pensatori e artisti, che discutevano sulle
mode, sulla Cultura e sui gusti estetici del loro tempo. "Il Caffè" trattava
le tematiche più avanzate dell'Illuminismo; vi presero parte intellettuali
come Cesare Beccaria, Alessandro Verri, l'abate Alfonso Longo, il matematico
e fisico Paolo Frisi, Farcheologo Giovanni Visconti, l'economista Gian
Rinaldo Carli. Il suo promotore fu Pietro Verri, fratello di Alessandro:
egli, venuto a contatto con le idee dei "Philosophes" francesi, ne era
rimasto particolarmente colpito e aveva deciso di creare un gruppo di
diffusione di queste idee in Italia. Verri riuscì nel suo intento, perché
in breve "Il Caffè" assunse un ruolo di punta all'interno della società
lombarda, trattando i temi illuministici (come la lotta all'ignoranza, il
libero commercio, I'avversione per l'autoritarismo economico) senza
polemiche astratte o intransigenze ideologiche.
A Milano gli Intellettuali partecipavano attivamente anche alla vita
pubblica: per esempio Gian Rinaldo Carli, già collaboratore del "`Caffè",
nel 1765 fu incaricato dal Governo austriaco di presiedere il Consiglio
Economico di Milano. Non era raro che a quel tempo un letterato ricoprisse
cariche pubbliche: l'Austria promuoveva lo sviluppo e la diffusione della
Cultura e favoriva gli uomini d'intelletto.
L'Imperatrice Maria Teresa infatti aveva riorganizzato l'istruzione,
attuando nelle scuole un programma di alfabetizzazione e riformando i
collegi; furono anche create Scuole elementari statali e furono migliorate
le condizioni di insegnamento. La sua Corte era composta di Intellettuali e
letterati, ma anche gli artisti spesso venivano chiamati a prestare servizio
per la famiglia imperiale: l'architetto neoclassico Giuseppe Piermarini nel
1769 fu chiamato a Milano per restaurare il Palazzo Ducale, poi fu nominato
"Imperiale e Regio Architetto" del Governo austriaco e Ispettore Generale
delle costruzioni della Lombardia.
Egli si interessò dell'espansione edilizia di Milano e al suo decoro urbano:
sistemò Piazza Fontana e la zona di Porta Orientale; fu suo il progetto del
Teatro alla Scala del 1779, opera di immenso valore artistico, del Palazzo
Greppi e del Palazzo Belgioioso. Come spesso era già accaduto nella Storia
dell'uomo, un grande Impero aveva bisogno anche di una grande Cultura: fin
dai tempi dell'Imperialismo ateniese del V secolo a.C. uno Stato, se voleva
essere potente, aveva portato avanti una politica di espansione della
cultura; lo stesso avvenne per l'Impero romano, con la politica culturale di
Augusto e di Mecenate, e poi anche nelle Corti signorili del Quattrocento.
Più recentemente, nel secolo XX, durante il periodo del Fascismo, la Cultura
italiana si era messa al servizio del potere: la propaganda fascista era
portata avanti da intellettuali come Pirandello, Volpe, Marconi, Gentili,
mentre se un letterato era sprovvisto della tessera del Partito,
immediatamente perdeva il lavoro (come accadde a Montale nel 1938). Maria
Teresa d'Austria fu una dei sovrani settecenteschi, che vengono definiti
"illuminati" (il termine "dispotismo illuminato" fu usato per la prima volta
nel XIX' secolo da Grimm), poiché regnavano appoggiandosi alle ideologie dei
teorici dell'Illuminismo francese. Come altri sovrani europei, anche Maria
Teresa avviò una politica di riforme: ella si avvalse dell'aiuto di abili e
fedeli collaboratori, fra i quali primeggiò Wenzel Anton von Kaunitz -
Rietberg, che divenne Cancelliere nel 1753 (la Cancelleria di Stato fu
creata nel 1742 per la gestione della politica estera imperiale).
Le operazioni più importanti del Governo di Maria Teresa furono: la
riorganizzazione del Commissariato Generale di Guerra (1746); una riforma
amministrativa, che concentrava le direzioni politiche e finanziarie (1749);
la formazione del Collegium Theresianum (1749) e dell'Accademia militare di
Wiener Neustadt (1752). Su proposta di Von Kaunitz nel 1760 venne creato il
Consiglio di Stato, una sorta di Cancelleria per gli affari politici di
Austria e Boemia, con suddivisioni interne per le competenze e i controlli
di bilancio e per la riscossione dei tributi. Maria Teresa inoltre regolò i
rapporti fra Stato e Chiesa con numerosi provvedimenti di carattere
giurisdizionale: in particolare pose limiti alle entrate in convento e
all'acquisizione di beni da parte dei Monasteri.
Dato che i Gesuiti erano d'ostacolo nel controllo delle istituzioni
scolastiche, la loro Compagnia fu sciolta nel 1773 e lo Stato ne incamerò i
beni. In politica estera l'Imperatrice, sempre su consiglio di Von Kaunitz,
strinse un'alleanza con la Francia (nel 1770 sua figlia Maria Antonietta
sposò il Delfino francese, che quattro anni dopo divenne Re Luigi XVI'), per
contrastare l'alleanza fra Inghilterra e Prussia; l'Austria combatté nella
Guerra dei Sette Anni (1756-'63), che si concluse con la perdita della
Slesia. Partecipò alla prima spartizione della Polonia (1772), ottenendo la
Galizia Leopoli, e alla Guerra di Successione bavarese (1778-79), che le
portò I' annessione della regione dell'Inn.
Le riforme e la politica di Maria Teresa d'Austria erano volte alla
creazione di uno Stato moderno, burocratico e accentrato e portarono grandi
benefici alla città di Milano, che si riprese visibilmente dai duri colpi
subiti in passato. L'Imperatrice mirava a costituire uno Stato unito ed
efficiente, e si circondò dei migliori intellettuali illuministici, che
poteva avere a sua disposizione; tuttavia il suo operato era frutto di
un'intelligenza, che aveva capito come creare uno Stato, potente, più che di
dettami illuministici. In realtà Maria Teresa non aderì pienamente agli
ideali proposti dai "Philosophes"; piuttosto le sue riforme furono la
risposta a specifiche esigenze di riorganizzazione amministrativa e
avvennero con l'appoggio degli Intellettuali, non su loro proposta.
LA CAMERA DEI LORDS: IERI, OGGI, DOMANI.
LIBERAMENTE TRATTO DAGLI APPUNTI DI ANDREW MARTIN GARVEY
Quando i Laburisti vinsero le elezioni dicevano di voler togliere ai Pari
del Regno il diritto di sedere e votare nella Camera dei Lords, primo passo
per creare una Camera dei Lords più democratica e rappresentativa. Il
Governo per ora non ha dato una scadenza fissa per le riforme e Sua Maestà
la Regina non ha fatto menzione nel Suo discorso dal Trono nel novembre
scorso, discorso per altro scritto dal Primo Ministro. Che cosa c'è nel
futuro per i Lords? Il Comitato per il Programma per la Riforma
Costituzionale (Camera dei Lords), presieduto da Lord Irvine, il Lord
Chancellor, dovrà decidere se la nuovo Camera sarà formata da membri eletti
o nominati o da un mix di entrambi.
Molti Britannici si chiedono se il Regno Unito possa permettersi una Camera
dei Lords riformata: attualmente, infatti, i Pari non percepiscono uno
stipendio, ma soltanto un rimborso spese per quando sono presente nella
Camera con limiti di circa £100 per diem, e chiunque sia stato a Londra
saprà che una diaria di 300,000 lire circa non concede molto. Politici a
tempo pieno dovrebbero avere uno stipendio adeguato come i loro simili nella
Camera dei Comuni che percepiscono circa sei milioni al mese netti. I Pari
hanno diritto ad alcuni servizi di segreteria e di cancelleria e l'uso di
telefoni gratis, ma solo chi ha un ruolo attivo dispone di una linea
privata. I Pari non hanno la posta senza pagamento.
La Camera dei Lords è da sempre vista come una roccaforte delle forze
dell'Establishment, ossia del partito Conservatore. Nonostante le promesse
Laburiste, io personalmente vedo la riforma come un passo pericoloso verso
una costosa democratizzazione: tra poco avremo una classe di politici
professionisti prive di esperienze del mondo reale, senza coloro che hanno
per così tanto tempo portato le varie esperienze di vari campi della vita
nazionale, quello militare, degli affari, del mondo accademico, quello
medico ecc... Ora vi è nel Lords una istituzione che ha servito così a lungo
gli interessi della Nazione e dell'Impero britannico, anziché gli interessi
personali o quelli di vari gruppi d'interesse o lobbies, servendo come
modello per tanti altri nazioni nel mondo. La Camera dei Lords, non dobbiamo
dimenticare, è il luogo dove i Pari del Regno pagano per i propri privilegi
con il servizio. La Camera dei Lords è la Camera Alta del Parlamento
Britannico. I membri non sono eletti (in questo niente di strano, anche in
altri senati vi sono dei membri a vita non eletti) e con l'eccezione dei
vescovi che lasciano il loro seggio quando raggiungono l'età pensionabile,
sono membri per tutta la vita. I membri del Lords sono i Pari del Regno e
sono divisibili in due gruppi: i Pari o Lords Spirituali (cioè i due
arcivescovi, di Canterbury e di York, il primo primate di tutta
l'Inghilterra il secondo il primate d'Inghilterra ed i vescovi anziani) ed i
Lords Temporali.
Si può fare una suddivisione di quest'ultimo gruppo: i Pari ereditari e
quelli a vita, cioè che non trasmettono il titolo (anche se i figli godono
di un titolo e il trattamento di figli di un Pari). Poi vi sono i Law Lords
(i giudici) che fanno parte del gruppo dei Pari a vita. I Membri del House
of Lords in origine furono membri di vari gruppi della nobiltà che avevano
il compito di consigliare il sovrano, cioè i membri della curia regis.
Durante gli ultimi secoli vi sono stati delle aggiunte. Con le varie unioni
con l'Inghilterra sono arrivati anche rappresentati le altre nazioni facenti
parte dell'Unione, la Scozia e l'Irlanda. Non tutti gli scozzesi titolati
però sono membri del Lords. Solamente i Lords del parlamento sono membri,
non i baroni o conti feudali.
Molti titoli sono ancora ereditari ma vi è una percentuale sempre crescente
di Pari a vita e da molto tempo non si creano più titoli ereditari che danno
il privilegio di un seggio nel Lords, anche se vi sono ancora altri titoli
ereditari come ad esempio quello di baronetto. I più recenti casi sono
quelli dei visconti Whitelaw (già deputato Conservatore, poi ucciso
dall'IRA) ed il già Speaker della Camera dei Comuni, George Thomas,
(entrambi non avevano eredi), poi vi è il conte MacMillan, già primo
ministro negli anni sessanta che invece aveva un erede il quale oggigiorno
ha un seggio nel Lords. Fino alla Riforma nel 16° secolo, la maggioranza dei
Lords furono quelli Spirituali ed oltre agli arcivescovi e vescovi
includevano anche gli abati mitrati. Con lo scioglimento dei monasteri non
vi furono più abati e fu messo un limite al numero dei vescovi. Ed ora il
numero è fissato in un massimo di 26 di questo gruppo di prelati. Sono
membri permanenti, oltre i due primati, i vescovi di Durham, London e
Winchester, e per ordine di anzianità altri 21 vescovi della chiesa
anglicana. I vescovi di altre denominazioni religiose non hanno diritto a
sedersi nei Lords.
Fino al 1958, i Lords Temporali furono o Pari ereditari (coloro che ebbero
il titolo per eredità e diviso in sei ranghi: Principi di sangue reale,
Duchi [Reali e non], Marchesi, Conti, Visconti e Baroni) ed i cosiddetti Law
Lords, i più anziani giudici della corte d'Appello che hanno un seggio nel
Lords con il rango di barone, (nominati a vita per espletare quei compiti
giudiziali della camera). Nel 1958, però, è passata la legge riguardante le
Pari a vita, il Life Peerages Act, che diede alla Regina la possibilità di
creare titoli non ereditari sia per gli uomini sia per le donne. Ora questa
prerogativa viene esercitato su consiglio del Primo Ministro. Il numero dei
Pari ha avuto un aumento con le unioni della Scozia e dell'Irlanda
all'Inghilterra avvenute nel 17° e 18° secoli. All'inizio del 1999, la
Camera dei Lords è composto da 759 Pari ereditari, 510 a vita (dei quali 90
sono donne e 26 Arcivescovi e Vescovi).
E' bene precisare che non tutti i Lords nel Regno Unito sono membri del
Parlamento. Sono esclusi i Lords per cortesia ossia i figli dei titolari o
capi famiglia, non sono inclusi i Lords per carica, come ad esempio il Primo
Lord del Tesoro (che è il Primo Ministro) Lords dell'Ammiragliato o i Lords
Lieutenant delle Contee e ovviamente sono esclusi anche quei Lords del
maniero, i baroni e conti feudali. Inoltre, per svariati motivi, circa un
terzo dei Pari non frequentano la camera. In media vi sono circa 380 Pari
presenti, in maggioranza i Pari a vita. Il Lord cancelliere si siede sopra
una sedia detto il sacco di lana "Woolsack". Introdotto dal Re Edoardo II
(1327-77), il Woolsack è imbottito con lana come ricordo della ricchezza che
il commercio della lana diede all'Inghilterra. Ora è imbottito di lana
proveniente da nazioni del Commonwealth, come simbolo di unità. La Camera
dei Lords, attraverso il suo Comitato d'Appello, funziona come ultimo corte
di appello. Per casi civili nel Regno Unito e casi criminali in Inghilterra,
Galles ed Irlanda del Nord. Solamente i Lords d'Appello prendono parte nelle
procedure giudiziali. Vi sono 12 giudici a tempo pieno. In linea di massima
le funzioni della Camera dei Lords sono simili a quelli dei Comuni per
quanto riguarda legislazione, dibattiti e domande all'esecutivo. Vi sono due
importanti eccezioni: i membri dei Lords non sono rappresentativi di
circoscrizioni e non sono coinvolti in questioni finanziarie o riguardanti
le imposte. Il ruolo dei Lords è complementare a quello dei comuni e
funziona come una entità di revisione di molte proposte di legge (detto
"Bills") importanti o controverse.
Nella Camera dei Lords i membri votano seconda la propria coscienza.
Aggiungo anche che è più facile seguire la propria coscienza non avendo un
elettorato a cui rispondere, quindi si può dare ciò che una nazione ha
bisogno non quello che necessariamente vuole.
Vediamo ora il primo articolo, il più importante, della proposta di legge
House of Lords Bill che fu introdotta nella Camera dei Comuni il 19 gennaio
di quest'anno, con l'obbiettivo di eliminare il diritto dei Pari ereditari
di sedere nella Camera dei Lords. Il primo articolo recita che nessuno potrà
essere un membro dei Lords in virtù della sua Paria ereditaria. Detto
esclusione si applica anche ai Membri della Famiglia Reale che hanno il
diritto di far parte del Lords (il Principe di Galles, il Duca di Edimburgo,
il Duca di York, il Duca di Gloucester ed il Duca di Kent; la Regina non fa
parte del Lords quindi non viene inclusa; In fine, quindi, da questi
commenti si capisce quanto sarà completo l'eliminazione dalla vita
parlamentare la presenza dei Pari ereditari. Mi auguro che il mio intervento
abbia dato delle informazioni utili per una maggior comprensione a ciò che
concerne la riforma del House of Lords.
BREVE STORIA DELLA CAMERA DEI LORDS
. 14° sec Camera separata, con membri spirituali e temporali, dai Comuni .
15° sec Pari introdotti, 5 ranghi Duca, Marchese, Conte, Visconte e Barone .
18° sec Atti delle Unione con la Scozia/Irlanda rappresentanti eletti . 1834
Incendio . 1847 Apertura della nuova Camera . 1876 Atto della giurisdizione
d'Appello crea i Pari d'Appello in ordinaria (i cosi detti Law Lords),
ultimo tribunale d'Appello . 1911/1949 Atti Parlamentari, alcuni proposte
diventano leggi senza il cosesso dei Lords che possono limitare il potere di
ritardare li proposte ad un massimo di un anno, ciò in seguito ai problemi
connessi con le leggi finanziarie . 1958 Atto riguardante le Pari a vita -
Baronie a vita, sia uomini sia donne nel House of Lords . 1963 Atto
riguardante la Paria, rinnegare i titolo - Tutti i Pari Scozzesi nei Lords
Peerage Act Disclaim peerages -e le nobil donne che godono di una Paria
ereditaria personale. . 1997 Il Programma del partito laburista che include
l'intenzione di abolire i seggi ereditari nella Camera dei Lords . 1998
Proposta di Legge di abolire il diritto dei Pari ereditari di avere un
seggio nella Camera dei Lords. COMPOZIONE DELLA CAMERA DEI LORDS (secondo il
tipo di Paria al 4 gennaio, 1999)
Principe (di sangue reale) 1
Arcivescovi 2
Duchi + Duchi di sangue reale 25+3
Marchesi 34
Conti + Contesse 169+5
Visconti 103
Vescovi 24
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LA PRESA DELLA BASTIGLIA 14 LUGLIO 1789 :
Tra il 27 giugno ed il 1° luglio il Re aveva già richiamato 20.000 uomini delle truppe reali nella regione di Parigi, apparentemente per proteggere l’Assemblea e prevenire disordini nel resto della città.
Il giorno 11 luglio il Re cacciò nuovamente Jacques Necker e questo fu per i parigini un segno che il Re stava cominciando ad organizzare una non democratica risposta contro i rivoluzionari. Gli oratori agli angoli delle strade, come Camille Desmoulins istigò i propri compatrioti a resistere e la mattina della domenica 12 luglio, il giovane ventinovenne, si reca nei giardini di Palays Royal e arringa la folla, dicendo:
“Cittadini ! I mercenari verranno a sgozzarci, sarà un’altra «Strage di San Bartolomeo»; uccidiamo la belva: quarantamila palazzi e castelli, i due quinti dei beni di Francia, saranno il premio dei vincitori”.
La domenica sera i parigini fanno chiudere il palazzo dell’Opera. Due “paure” atterriscono la città: quella dei ”briganti“, che si dice in giro stanno affluendo dalla provincia per saccheggiare la capitale e quella dei reggimenti mercenari che circondano la città per proteggerla, ma che da un’ora all’altra potrebbero sparare sui cittadini, in difesa del dispotismo.
Il 13 luglio è una giornata di preparativi; nella notte tutta la città è in piedi a vegliare. Dalla provincia giungono notizie di insurrezioni popolari e di imprese di briganti. Il municipio ordina la creazione di una milizia borghese: “Ciascuno presterà servizio con le armi che ha potuto procurarsi”. Tutti i parigini vogliono un fucile. A Parigi, alla porta daziaria della Conference, la folla brucia l’ufficio dei gabellieri e distrugge i registri delle tasse.
Escono numerosi improvvisati giornali ed uno scrive: “Circondati da soldati stranieri, ora sentiamo tutto il valore della libertà che ci si vuole togliere”.
La folla si dirige a St. Lazare, dove vi è il convento che è invaso e saccheggiato, e si trova molta farina stipata; viene prelevata e portata al mercato per venderla ad un prezzo politico.
Un campanile all’imbrunire inizia a suonare a martello una campana, è quella del suono grave, la ”dolens”che normalmente viene suonata ai funerali, subito imitato da altri campanili.
Per tutta la notte i lugubri rintocchi cadenzati fanno compagnia a tutta Parigi sveglia, in una lunga attesa, satura di tensione.
A Versailles l’Assemblea siede in permanenza, non per discutere, ma perché i deputati si sentono sicuri solo dentro nell’aula della grande reggia.
Bande di parigini assalgono negozi di armi per prepararsi a quello che ancora nessuno pensava potesse accadere, ma che invece stava già accadendo. Intanto, nella notte, si sparge la voce che è stato ordinato un attacco sulla città, partente dalla Bastiglia. 30.000 parigini assaltano il palazzo degli Invalidi per procurarsi armi e portano via 20.000 fucili e 24 cannoni; l’assalto lo guida il curato Du Mont di Saint Etienne. Ma le armi non bastano e Du Mont sprona la folla: “E allora con queste che abbiamo, andiamo a prendere le altre alla Bastiglia”.
Il mattino del 14 luglio il popolo, buona parte armato, si dirige al carcere simbolo del dispotismo reale ma che ha, anche dentro la fortezza, un deposito di armi.
La BASTIGLIA, era una piccola fortezza dotata di 8 torri, fatta costruire da Carlo V°, tra il 1365 ed il 1383. Come mezzo di difesa non era mai servita a nulla. In quattro secoli di vita era stata assediata sette volte, da cittadini rivoltosi, e si era arresa in sei occasioni.
Dimessa come fortezza ai tempi di Richelieu, venne destinata ad essere una prigione: una prigione un po’ speciale. Nella Bastiglia venivano rinchiusi certi personaggi, in base a speciale ordine del re (lettre de cachet), che dovevano essere fatti sparire con “discrezione”, evitando processi pubblici che avrebbero potuto recare disdoro al clero, alla nobiltà ed alla corte stessa.
Per tale motivo simboleggiava l’aspetto più protervo, bieco ed incontrollato dell’assolutismo monarchico. Conquistare la Bastiglia significava, per il popolo, abbattere il simbolo della tirannia e dell’ingiustizia.
La vita nella prigione della Bastiglia era meno dura delle altre case di pena: In origine, il prigioniero che veniva incarcerato faceva venire i suoi mobili, i suoi domestici, i suoi pasti; se egli era povero, gli era destinata una certa somma per assicurare l’assistenza. Il vitto era ritenuto buono ed abbondante. Le camere furono ammobiliate a spese dello Stato; tuttavia i prigionieri poterono sempre migliorare l’arredamento con i loro oggetti personali.
Gli aristocratici, sempre vestiti elegantemente, si scambiavano visite e pettegolezzi come erano usi a Corte, forse per non pensare al futuro che li attendeva.
La Bastiglia non era né l’orribile carcere medioevale che alcuni si erano compiaciuti di descrivere, né un luogo di delizie. Era una prigione, dove i “ lumi” avevano migliorato le condizioni del prigioniero.
Un aneddoto rese celebri i Mémoires di Linguet: il giorno del suo arrivo egli ricevette la visita del parrucchiere: “Con chi ho l’onore di parlare?” “Signore, io sono il parrucchiere della Bastiglia” “ Eh, perché non la radete?”
Gli scritti di Laude servirono forse ancora di più dei Mémories di Linguet per diffondere e perpetuare la leggenda della Bastiglia che, in effetti, costava molto. Il governatore riceveva uno stipendio, enorme per l’epoca, di sessantamila lire all’anno. A ciò bisogna aggiungere le retribuzioni dei secondini, dei medici, dei chirurghi, dei farmacisti, dei cappellani, il soldo della guarnigione, il vitto e la manutenzione degli edifici. Sarebbe stato meglio utilizzare i fondi assorbiti dalla Bastiglia per aumentare le forze della polizia parigina. Durante il suo ministero, Necker pensò non soltanto alla chiusura della prigione, ma anche alla sua demolizione.
Alla fine del XVIII secolo, certe camere furono trasformate in celle, con sbarre alle finestre e chiavistelli alle porte. Vi erano anche delle segrete sotterranee molto umide che dal 1776 non erano però più usate. Anche le camere situate in cima alle torri, sotto le volte, erano particolarmente inospitali perché molto fredde in inverno e molto calde in e state; qui erano ospitati i prigionieri indocili.
Ritornando alla presa della Bastiglia alle ore 17 del 14 luglio inizia una lotta spietata, con molti parigini che perdono la vita nella battaglia davanti alla fortezza quando il governatore Launay da ordine di sparare sui rivoltosi. Ma il carcere è difeso da soli trenta svizzeri e da una ottantina di invalidi, subito sopraffatti. La delusione è grande quando dentro la fortezza viene trovato l’arsenale vuoto. La vittoria morale è però grande. Quando sono liberati i prigionieri (in verità pochi, solo 7 ai ceppi della tortura) la scena poi riportata sulla stampa da un abile illustratore, suscita nell’immaginario collettivo una immensa emozione. L’artista riassume con la sua opera pittorica gli orrori di quattrocento anni di arbitrio. La folla ricorda le migliaia di perseguitati di un tempo, li associa a quelle immagini e sfoga l’odio secolare facendo a pezzi il governatore.
Babeuf arringa la folla amaramente commentando “Furono i supplizi d’ogni genere, la tortura, i roghi, le forche a darci feroci abitudini. I governanti invece di educarci, ci hanno resi così barbari perché essi lo sono. Ora raccolgono i frutti”.
Alla lanterna della piazza del municipio intanto la folla impicca il consigliere di Stato Foulon: ”l’affamatore della città”. Qualcuno interviene per fare un regolare processo, ma la folla risponde: “Questo uomo è già giudicato”.
Altri soldati sono massacrati, mentre dall’altra parte della città due ufficiali sospettati di aver fatto parte del complotto Reale ai danni di parigini vengono linciati, la folla ne fa scempio.
Era il 14 luglio 1789 !!!
La caduta della Bastiglia, ed il martirio di alcuni parigini sacrificatisi per la libertà, fu un evento spettacolarmente simbolico, una specie di miracoloso trionfo del popolo contro il potere dei soldati Reali. Luigi XVI capitolò: non voleva che una guerra civile si svolgesse nelle strade e trasformasse la città in un campo di battaglia. A Parigi il Re stesso inaugurò il nuovo tricolore: Bianco per i Borboni, Rosso e Bleu per i Parigini (subito si fece fare un quadro, a cavallo, con in testa la coccarda tricolore).
E’ la prima grande affermazione della Rivoluzione e la prima grave sconfitta della monarchia. Gli aristocratici più intransigenti, con in testa il Conte di Artois assieme ad altri nobili, protesi dalla paura, cominciano a lasciare di nascosto il Paese e a riparare all’estero.
La rivoluzione è appena agli inizi e la folla armata si accalca intorno alle mura e chiede venga abbassato il ponte levatoio e aperto l’ingresso ai cortili interni. Il governatore Launay cerca di negoziare, fa qualche concessione e permette ai rivoltosi di occupare alcuni cortili, ma non basta. Alcuni colpi di arma da fuoco, partiti dalla folla, danno inizio ad una vera e propria battaglia che durerà quattro ore, provocando almeno un centinaio di morti fra gli insorti.
Alle ore 17,30 il Governatore, onde evitare ulteriori massacri, ordina il cessate il fuoco e propone la resa purchè sia fatta salva la vita dei suoi uomini e la sua. Accettate le condizioni, i rivoltosi invadono il forte e per prima cosa decapitano il malcapitato Launay ed issano la sua testa su di una picca, come un trofeo. Si dice che ad ucciderlo sia stato un certo Jourdan detto “mozza-teste”, suo ex attendente. Strano destino quello di Launay, nato e morto nello stesso posto; infatti era nato il 9-4-1740 all’interno della Bastiglia, essendo allora il padre il precedente governatore.
Gli insorti provano qualche delusione quando, aperte le segrete, trovano solo 7 prigionieri e cioè: 4 falsari (di documenti, non di denaro) – 1 pazzo (nobile rinchiuso con lettre de cachet sollecitata dai parenti) 1 accusato di incesto (Conte di Solages, rinchiuso con lettre de cachet richiesta dal padre) – 1 complice (Tavernier?) del mancato regicida Damien, contro Luigi XV. Portati in trionfo all’Hotel de Ville, i prigionieri liberati verranno interrogati da una commissione che deciderà la loro sorte: i 4 falsari ed il complice di Damien finiscono in galera, il pazzo finisce in manicomio, il giovane incestuoso torna a casa affidato alla custodia del padre. Durante le incontrollabili manifestazioni della folla, anche il sindaco Flesselles, che il giorno prima aveva esitato a consegnare la polvere da sparo agli insorti, viene decapitato e la sua testa portata in trionfo sulla punta di una picca.
Non tutti gli storici concordano sul numero dei prigionieri liberati. Alcuni parlano di un ottavo prigioniero: un suddito del Regno di Napoli, coinvolto nell’Affare del Collier e rinchiuso, per ordine di Luigi XVI, prima del processo. Confuso ed incredulo, frastornato da eventi che non riesce a capire, durante il corteo trionfale verso l’Hotel de Ville, l’infelice partenopeo si infila lestamente in quel dedalo di viuzze che si affacciano sulla rue Saint Antoine e fa perdere per sempre le sue tracce.
E’ improprio dire che la Bastiglia è stata distrutta o demolita; è stata smontata con la stessa cura ed attenzione che un orologiaio dedicherebbe ad un delicato meccanismo.
Tutto questo ad opera del cittadino Pierre Francoise Palloy (1755-1835), imprenditore edile, che si vantava di essere uno dei vincitori della Bastiglia per aver preso parte agli eventi del 14 luglio. Ricevuto l’appalto per la demolizione, Palloy si rende subito conto della straordinaria fortuna che gli è capitata e si mette subito al lavoro, con il metodo e la determinazione di una termite. Attacca, inizialmente, le opere accessorie e recupera sistematicamente tutto, sino all’ultimo chiodo, nulla va perso: infissi, serramenti, catene, chiavistelli, piombi, chiavi, serrature, etc. e poi invece di vendere tutto come materiale di recupero, fraziona il bottino e lo rivende, pezzo a pezzo, come “Souvenir della Rivoluzione”, incamerando una enormità di denaro.
Successivamente aggredisce le opere murarie smonta la fortezza, pietra su pietra. La maggior parte delle pietre viene ceduta ad altre imprese come materiale da costruzione, la maggior parte ma non tutte. Qualche centinaio di pietre vengono messe da parte e poi affidate a scalpellini che le scolpiscono e ne ricavano tanti modelli in scala della famigerata fortezza, rivenduti a collezionisti ed ai politici, con profitti che si possono solo immaginare.
Ma gli invidiosi sono sempre in agguato e nel 1794 viene accusato di concussione (o reato simile) ed è costretto a ritirarsi a Sceaux con il suo patrimonio dove, per molti anni, continuerà ad elaborare progetti e scrivere memorie che nessuno prenderà mai in considerazione. L’ultima trovata sarà una specie di “bando” con il quale offre la figlia in sposa a quell’uomo di conclamate virtù degne della pulzella in questione. Muore semipazzo nel 1835.
La demolizione della Bastiglia è durata sei mesi, e a fine lavoro Palloy consegna alla Municipalità un’area perfettamente spianata che verrà utilizzata per raduni, cerimonie e ricorrenze popolari.
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